Questo film merita di essere visto: banalmente perché è stato giudicato il migliore all’ultima edizione del Festival di Cannes; secondo me, perché è veramente prezioso per riflettere sul cosa sia davvero la “famiglia”, una parola così inflazionata e strumentalizzata da risultarmi ultimamente addirittura antipatica.
La visione di questi 121 minuti di Giappone inedito l’ha riabilitata ai miei occhi, insofferenti al conformismo e soprattutto ai politicanti che approfittano della credulità popolare per propinare un verbo (insopportabilmente moralistico) basato sul nucleo tradizionale padre madre figli bla bla bla (e poi giù tradimenti e litigi e odi e maltrattamenti). Scusate lo sfogo.
Torniamo a Hirokazu Kore-Eda. Vi dicevo, un Giappone inedito: niente ciliegi, niente lievità ed eleganza orientale, niente tecnologia e grattacieli. Vi troverete sbalzati in un sobborgo brutto e povero, di una metropoli del Sol Levante indefinita. Volutamente il regista non dà indizi, perché il luogo non è importante. La casa, o meglio la baracca dove si svolge la vita dei protagonisti, quella sì è importante.
Ci sono un uomo, una donna, un ragazzino abilissimo a rubacchiare nei negozi di alimentari, una donna anziana (la nonna?), ed una adolescente molto graziosa ed intraprendente. “Sembrano” una famiglia “normale”, nella povertà assoluta sono sorridenti, si vogliono bene, mangiano il poco che riescono a raccattare, in un continuo oscillare tra una vita onesta da operai e una vita disonesta da ladruncoli.
Succede che l’uomo e la donna si accorgano, uscendo di notte nel quartiere popolarissimo dove abitano, che c’è una bambina in lacrime, sul terrazzo di una casa abitata; una bambina che sembra abbandonata ma non lo è, maltrattata fisicamente e moralmente da quelli che dal punto di vista biologico sono i suoi genitori naturali.
Succede che i protagonisti decidono di “prenderla” con loro, nonostante manchi loro tutto per sopravvivere. Da questo evento si sviluppa la trama del film, in modo spesso inaspettato, perché gradualmente lo spettatore capisce tutto della vita di ciascun personaggio, del passato, delle cose da nascondere. Nonostante tutto però, quel gruppo di persone è indubbiamente una famiglia vera, fondata su amore e piacere reciproco di stare insieme.
Lo capite dai momenti in cui mangiano insieme. C’è leggerezza, rilassatezza, un clima gioioso spesso assente in contesti domestici più ordinari e in migliori condizioni economiche. Non vi do altri elementi sul racconto, perché ha degli sviluppi davvero inaspettati, nella seconda parte è un noir orientale. La frase del film è “a volte è meglio scegliersela la propria famiglia”. E non è forse così? Per me 4 ciak ed una palma d’oro meritatissima.
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