#LaProfeziaDellArmadillo (Regia: Emanuele Scaringi. Con: Simone Liberati, Valerio Aprea, Pietro Castellitto, Laura Morante, Claudia Pandolfi, Kasia Smutniak, Diana Del Bufalo, Samuele Biscossi, Vincent Candela. Genere: Drammatico, Commedia)
Zero e Secco, interpretati da Simone Liberati e Pietro Castellitto, sono i due millennials, generazione under 30, protagonisti di questa (secondo me riuscita) trasposizione dell’omonima storia a fumetti di Zerocalcare.
Vi consiglio di immergervi per i cento minuti del film nel mondo di Rebibbia (il quartiere, non il carcere), ben disegnato e descritto dall’autore del racconto, e reso vivido sul grande schermo anche dall’apporto di Valerio Mastandrea, che ha partecipato alla stesura della sceneggiatura. Ragionate con la loro testa, non perdete tempo nella ricerca di una trama, ascoltate con attenzione le parole, gli insegnamenti, i motti quotidiani dell’armadillo, fulcro della narrazione e vera anima dell’opera. Il grosso e goffo animale è reso in modo artigianale, quasi fosse un costume di carnevale cucito ed incollato dalla mamma, come accadeva negli anni 70.
La sua voce, un fuori campo costante nell’appartamento di Zero, con la pedanteria di un grillo parlante, è quella del bravissimo Valerio Aprea (lo ricordate nella saga di Sidney Sibilia, Smetto quando voglio?). Durante le riprese del film l’attore ha davvero dato vita a quel grosso mammifero, tanto da raccontare la fatica ed il sudore di questa originale interpretazione: leggete qui.
L’armadillo è l’anima del ragazzo, la sua coscienza, il suo “primario”, il contraltare delle decisioni prese di istinto e dell’imprudenza giovanile. L’idea è molto bella: ciascuno di noi ne possiede uno, di “animale protettore”, reale o di fantasia: in un passaggio del film, notate che l’armadillo incontra un suo simile, con l’aspetto di un robot dei cartoni animati giapponesi. Il punto è che l’armadillo/coscienza va ascoltato, perché è più saggio di noi ed è una capace di indirizzarci alle decisioni migliori.
Ci prova di continuo con Zero, che si barcamena tra vari lavoretti precari, nonostante abbia un grande talento di disegnatore, fumettista, grafico. C’è molta autobiografia, evidentemente: perché anche Zerocalcare ha vissuto in quella zona popolare della Capitale (contrapposta nel racconto ai quartieri inamidati di Roma Nord) e per un periodo è emigrato in Francia.
E lì, in una cittadina d’oltralpe, vicina al confine ligure, i due ragazzi arrivano con il treno, passando per Genova: non è un caso, dato che nel fumetto, molto più che nel film, c’è il richiamo ai fatti del G8 ed ai pestaggi della scuola Diaz. Quel “pellegrinaggio” triste alla ricerca di un senso alle cose che succedono è in onore di Camille, l’amica di infanzia portata via dall’anoressia. Nel film, ci sono anche Laura Morante, che interpreta la mamma un po’ nevrotica di Zero e un cammeo di Adriano Panatta che interpreta se stesso. Kasia Smutniak per cinque minuti netturbina e (singolarmente) il corpo forestale dello Stato, che nella realtà non esiste più.
Le ultime cose le dico su Pietro Castellitto: anche se è figlio di due grandi artisti (un attore e regista ed una scrittrice di enorme successo) non si può negare che abbia un talento naturale, una vis comica autentica, un modo di stare sul set molto diverso da quello del famoso genitore. Insomma: non merita l’appellativo di “figlio di papà”!
Per me 3 ciak al film e 4 ai due ragazzi protagonisti
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