L’idea di Beate era buona e per certi versi edificante: parlare dell’Italia minore (profondo nord est, Rovigo e dintorni brumosi e placidi) e del problema di (quasi) tutti. Il tema centrale del racconto è il lavoro: perderlo, inventarselo, non arrendersi dopo un licenziamento.
Ed ancora più a fondo: il lavoro artigiano, il pericolo della delocalizzazione per risparmiare, il valore spesso dimenticato della qualità di ciò che si crea e poi si vende.
Davvero attuale il racconto di Samad Zarmandili, il regista di “Squadra antimafia”, una delle serie televisive di maggiore successo del piccolo schermo. Brave anche le attrici, in particolare la protagonista, Donatella Finocchiaro, che interpreta Armida, la vera trascinatrice delle sarte della fabbrica, creatrici di lingerie di lusso, tutte coinvolte nel dramma di trovarsi da un giorno all’altro senza stipendio, con la misera consolazione della cassa integrazione.
È una storia tutta al femminile, le operaie e le suore del convento del paese insieme, inaspettatamente, a lottare per qualcosa di basilare: la sopravvivenza e la dignità. I “nemici” sembrano più grandi di loro e capaci di prevalere con la forza del denaro o con la prepotenza di certa politica. Tutti uomini, i nemici, tranne Veronica, l’imprenditrice impietosa che chiude battenti per riaprire fuori dai confini italiani. Insomma, ingredienti interessanti per una commedia con un po’ di sostanza, ma anche molta ironia, nell’attualità in salita dei nostri giorni che appartiene a moltissime persone.
Peccato però che il film manchi di mordente, c’è qualcosa di troppo vicino a quelle fiction di prima serata che anche se ti arriva una telefonata e ne perdi venti minuti non succede nulla. Nemmeno ho ben capito il senso, nel contesto del tema trattato, del “problema” ortopedico della protagonista, che la costringe ad allontanarsi per un po’ dal campo di battaglia, lasciando sole le sue amiche e colleghe proprio sul più bello. Crea un “accavallamento” di temi disomogenei che toglie ulteriormente spessore al film. Insomma, più di due proprio no. Peccato.
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