Cessata materia del contendere. E’ questo il verdetto che si profila di fronte alla Corte Costituzionale. Chiamata a decidere della legittimità del decreto sblocca trivelle varato nel 2015 dal ministero dello Sviluppo economico. E che aveva scatenato la reazioni delle regioni, in particolare Abruzzo e Basilicata, che si erano rivolte alla Consulta per ottenerne la cancellazione lamentando una grave lesione delle loro prerogative costituzionali. Il decreto prevede infatti il rilascio dei titoli di perforazione anche in assenza del piano delle aree da adottare d'intesa con le amministrazioni locali. Come tale – ha sostenuto l’Avvocatura regionale – si tratta di un provvedimento lesivo delle loro competenze oltre che in contrasto con il principio di leale collaborazione. Ma nel frattempo il decreto in questione è stato superato. O meglio ne è stato varato un altro che se possibile risulta ancora più lesivo delle competenze delle regioni. Il nuovo provvedimento infatti non prevede neppure più la redazione del piano delle aree da parte delle regioni. Mentre il governo ha confermato la possibilità di concedere nuovi permessi di ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nelle piattaforme continentali, sia il recupero delle riserve esistenti anche entro le 12 miglia. Previsione quest’ultima ulteriormente impugnata di fronte alla Consulta. Che oggi ha esaminato il decreto del 2015 e lo ha trattenuto in decisione che con molta probabilità sarà una pronuncia di cessata materia del contendere. Ma la battaglia all’ultima trivella è solo rinviata.