Il "rischio-Libia" per la Turchia di Erdogan e le colpe del sultano


Manovre finanziarie azzardate, iper ideologia come clava politica e quel neo-ottomanesimo come choche


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
11/08/2018 alle ore 13:01

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Anziché diventare un player "certificato" a cavallo tra Mediterraneo e Medio Oriente, la Turchia di Erdogan si è fatta pericolosa mina vagante con le premesse per un crack, tanto economico quanto politico.

Ciò che lascia perplessi dopo il crollo della lira turca, al netto delle mille analisi apparse su autorevoli organi come il Financial Times e Bloomberg, è l'incapacità del Presidente Erdogan di coglierne l'aspetto più squisitamente politico.

Il Sultano mostra ancora una volta una caparbietà che sfiora la furia cieca: cerca colpevoli e nemici esterni, non fa di conto, immagina ancora strategie espansivistiche in chiave neo-ottomana. E dimentica la vita reale, fatta di pil, di export e import, di conti da tenere in ordine e di rapporti con investitori e banche.

Quando ha incassato miliardi di dollari di prestiti da parte delle banche del golfo, Erdogan li ha usati in larga parte per una espansione militare e politica: investimenti in difesa e armi, lavori pubblici raddoppiati (con scandalo corruzione che ha toccato anche suo figlio), bonus alle pmi per ingraziarsi il voto di chi, in seguito, gli ha regalato il potere totale post referendum.

Un voto che fa il paio con le lotte intestine che hanno fruttato il carcere per magistrati e giornalisti, militari e politici in un clima di guerra totale (e islamica) contro tutto e tutti.

Un passaggio che è ovviamente propedeutico al crollo finanziario di oggi, con l'ombra del capital control che si staglia, minacciosa, su Ankara. Altro che complotto. Erdogan con il crollo della lira turca raccoglie solo il risultato delle sue manovre politiche, con un iper deficit che ha portato avanti da anni senza cedere di un millimetro.

Il Sultano ancora oggi si mostrava spavaldo di fronte ai media: "Loro hanno i dollari, noi il nostro Dio". Ma Francoforte è in allarme, anche perché tra gli istituti citati come i più esposti c'è Unicredit che potrebbe riserare a Roma sgradite sorprese.

Ankara assume sempre più i contorni di una potenziale nuova Libia, con un leader scorbutico e senza più una bussola, con un tessuto civile che si sta rendendo conto della sua incongruenza, con una posizione geopolitica che lui stesso “offre” a Mosca ma senza raccoglierne più di tanto l'apprezzamento.

Perché questa, in fondo, può essere un'altra lettura: Erdogan dopo aver abbattuto un jet russo ha tentato di riannodare i fili con la Russia, anche per esigenze legate al gas e alla nuova partita che si sta giocando nel Mediterraneo.

Ma ha fatto i conti senza l'oste, perché anche i missili S-400 che ha comprato da Mosca hanno influito sui conti in disordine, a cui va aggiunta la nuova centrale nucleare che ha annunciato di voler costruire.

Un leader che, dietro il suo palazzo da megalomane con mille camere, è invece solo nella sua follia politica mascherata da iper decisionismo e caratterizzata da un piglio neo-ottomano che si scaglia contro twitter e facebook, contro chi si sente un uomo libero e padrone della propria autotederminazione finanche di tingersi barba e capelli.

No, non è più solo un ultraconservatore islamista che vuole imporre il proprio credo ad una intera macro regione: ma si è progressivamente trasformato in un elemento di assoluta instabilità per un Medio Oriente che è tornato ad essere polveriera.

 

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