Noi tutti guardiamo alle cose in base all’esperienza che abbiamo, a ciò che conosciamo.
E’ per questo che, da bambini, avevamo una percezione statica delle persone e del mondo circostante: i genitori erano sempre stati adulti; la zia era sempre stata la zia che conoscevamo; quel signore anziano non era mai stato giovane e non sarebbe mai stato più anziano di com’era allora. Anche gli alberi e l’erba e i parchi e i palazzi. Tutto era sempre stato come si presentava.
Certo, testimonianze lontane raccontavano di persone e mondi diversi. La foto di mamma e papà giovani sposi. La zia quando andava all’università. Il quartiere prima della guerra. Erano come favole. Raccontavano un passato che non avevi mai conosciuto. Reale tanto quanto era reale Pinocchio.
Era così perché da bambini, non avendo esperienza diretta del passato, e nemmeno del futuro, delimitati in un arco temporale minimamente variato rispetto al presente (l’asilo ieri mattina, la merenda ora, il circo domani pomeriggio) tutto è solo come appare in quell’istante.
Oggi, invece, di fronte alle persone e alle cose, senza che mi ci debba nemmeno sforzare, mi viene da immaginarli com’erano e come saranno.
L’interlocutore con cui mi confronto al lavoro, l’uomo che incontro per strada, la barista che serve il caffè, mi appaiono per come potevano essere al liceo. Cazzari o secchioni o politicizzati. Capelli lunghi o corti, jeans o gonna a fiori, all’assemblea studentesca o all’interrogazione. Compagno, fascio o ciellino. A scuola o in vacanza. A cena con i genitori e la sera con gli amici. Oppure prima, bambino o bambina, in braccio alla mamma, mentre chiede il regalo per il compleanno, chiama il papà, protesta perché non può mangiare il gelato.
A volte, invece, le persone mi appaiono come saranno. Il bambino diventa ragazzo, il ragazzo si fa adulto, l’adulto è anziano.
Sono degli involontari cortocircuiti mentali:, stringo la mano e sento la voce del ragazzo che parla al megafono durante l’occupazione, il pianto a dirotto del bambino deluso, il sorriso dell’infante coccolato, l’adulto che si muove sicuro nel mondo del lavoro, l’anziano che ha timore di inciampare sul marciapiede.
Non so cosa voglia dire tutto questo. O forse sì. Che ho abbastanza tempo alle spalle per avere conosciuto il divenire, il nascere, il finire. Non troppo e non poco. Abbastanza da sapere che nulla è mai stato e nulla sarà più come in questo istante.
Abbastanza per desiderare di non perdere nessuno. Per sperare che ciò che amiamo resti sempre così. Da sapere che non è possibile. Da sognare che tutto questo sia una favola.
Così la Fata Turchina ti perdona. Dalla balena riesci a scappare. Sulla spiaggia corri verso la vita e tuo padre è dietro di te.
Una favola, almeno quella, rimane sempre com’è. Al massimo finisce. Basta raccontarla di nuovo, però, e tutto ricomincia.
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