Palazzo d’Avalos è l’emblema del florido periodo di prosperità e prestigio che la città di Vasto conobbe a partire dal 1497, quando divenne feudo della famiglia dalla quale l’edificio prende il nome, trasformandosi in quella che venne allora definita “piccola Napoli”. Il sontuoso profilo domina la marina da una spettacolare posizione panoramica, rivendicando a pieno diritto il titolo di più importante emergenza cittadina, nonché esempio tra i più significativi di architettura rinascimentale abruzzese della seconda metà del 1500, di stampo tipicamente romano.
La sua storia affonda probabilmente le radici nel Medioevo, ma in assenza di documenti l’unica data certa cui fare riferimento è il 1427, anno di fondazione ad opera di tale Giacomo Caldora, feudatario della città, che lo realizzò con il medesimo perimetro e la stessa elevazione di quello attuale.
La qualità architettonica doveva essere notevole e lo percepiamo tutt’oggi in quei sparuti elementi superstiti disseminati sulla facciata meridionale o sulle pareti del cortile (dalle meravigliose finestre polilobate, al portale oggi richiuso, alla splendida bifora che si affaccia sul giardino), tanto che lo storico rinascimentale Flavio Biondo, nel descriverlo, lo definì “superbissimo”.
Il complesso fu tuttavia profondamente segnato da due disastrosi eventi: il terremoto del 1456, cui seguì un primo restauro realizzato da Francesco Ferdinando, e l’incendio da parte degli invasori turchi, nel 1566. A seguito di quest’ultimo la struttura venne profondamente rimaneggiata assumendo le caratteristiche tipiche dell’epoca, ravvisabili in particolare nel prospetto settentrionale, che guarda su piazza Pudente, affine ai coevi esempi romani in quella divisione orizzontale della parete, con timpani a sormontare le finestre del primo piano, ed il portale in bugnato.
Cesare Michelangelo d’Avalos fece poi realizzare, sul finire del Seicento, il teatro, lo scalone, la cisterna nel cortile e i tre grandi archi del prospetto est. Caratterizzato da un impianto settecentesco, con espliciti richiami ai parchi barocchi napoletani, è invece lo spettacolare giardino, organizzato a forma di croce con pergolato su colonne, che si conclude con l’incantevole terrazza vista mare, affacciata sull’Adriatico.
Nel 1974 il Palazzo venne acquisito dal Comune di Vasto, che vi istituì quelli che oggi sono i Musei d’Avalos: il Museo Archeologico più antico d’Abruzzo, fine custode di un cospicuo numero di reperti dell’area frentana che coprono un ampio arco cronologico che va dall’età del Ferro all’alto Medioevo, il Museo del Costume Antico e la Pinacoteca Civica, costituita dal celebre pittore Filippo Palizzi insieme all’allora sindaco di Vasto, con importanti tele ed il prezioso lascito dell’intera dinastia dei Palizzi stessi.
E’ proprio all’illustre artista, in occasione del bicentenario della nascita, che è dedicata la mostra in corso nelle sale del Palazzo intitolata “Dopo il diluvio. Filippo Palizzi, la Natura e le Arti” a cura di Lucia Arbace, visitabile fino al 30 settembre.
Ed al Palizzi era sempre dedicato il nostro articolo pubblicato il 11/12/2017 sulla rubrica Incolta, “Il sentimento della natura nelle tele di Filippo Palizzi”, che vi invitiamo a rileggere e riscoprire (cliccare qui).
Perché la Bellezza è fatta di cultura pittorica, architettonica e paesaggistica che a volte si fonde e riaffiora nelle mirabili variazioni tonali del pennello di un pittore, altre nella esatta giustapposizione dei partiti architettonici o nel cromatismo delle superfici murarie; riconoscerla e valorizzarla è essa stessa un’arte che va allenata ampliando la conoscenza, e con essa lo sguardo, abbracciandone così ogni aspetto.
E’ questa l’unica via per la rinascita dei nostri territori, abilmente narrati dai nostri artisti, dai nostri poeti, dai nostri scrittori, come questa meravigliosa Vasto che, per concludere con le medesime parole dell’altro articolo, pronunciate dal Palizzi, “il mare Adriatico ha dinanzi, i monti Maiella e lungi il Gran Sasso d’Italia, boschi secolari la circondano, oliveti e piani fruttiferi e coltivato firmano il suo agro”.
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