Il Messico risponde a Trump, non siamo il paese più violento del continente




Categoria: ESTERI
23/06/2017 alle ore 12:53



 - (Agenzia Nova) - La risposta del ministero degli Esteri è arrivata via twitter: il Messico non è tra i paesi più violento al mondo, e l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite lo conferma. L'accusa, sempre sul social, veniva dal presidente Usa Donald Trump: "Il Messico è appena stato classificato come il secondo paese più violento del mondo, solo dopo la Siria. La causa è soprattutto il traffico di droga. Costruiremo il muro", aveva scritto l'inquilino della Casa Bianca concedendosi l'uso del maiuscolo per l'ultima frase del tweet. Il dato, per la verità, non è freschissimo ed emerge da un rapporto elaborato dall'International Institute for Strategic Studies (IISS), già ampiamente criticato da Città del Messico alla sua pubblicazione, verso la metà di maggio. Il governo di Enrique Peña Nieto aveva denunciato l'inconsistenza delle fonti e l'uso di metodologie statistiche "irresponsabili", su tutte l'aver escluso dalla classifica paesi come Brasile e Venezuela che l'Iiss non ritiene attraversati da conflitti. Fa chiarezza, è la risposta del paese latino, l'ultimo rapporto dell'Onu: "Solo in America Latina paesi come Honduras, Venezuela, Belize, Colombia e Brasile hanno un indice di omicidio rispettivamente di 90,4, 53,7, 44,7, 30,8 e 25,2 su ogni cento abitanti, mentre in Messico l'indice è del 16,4". Il ministero rilancia una antica ma sempre attuale polemica con il paese vicino: Trump dice che i problema è il traffico di droga, ma "come ripetutamente sottolineato dallo stesso governo degli Stati Uniti, il traffico di stupefacenti è un problema comune che finirà solo se ne affrontano le cause alla radice: l'alta domanda negli Stati Uniti e l'offerta dal Messico e da altri paesi". Un duello verbale destinato a non finire qui. Il quotidiano spagnolo "El Pais" segnala che la "chiassosa escalation" di Donald Trump nei confronti del Messico "non è mai stata casuale. Il primo colpo lo ha dato proprio quando annunciò la sua candidatura alla presidenza. Da allora, ogni colpo si è dimostrato conveniente. Per il cuore del suo elettorato, bianco e impoverito, i messicani rappresentano la concorrenza. L'altro. Colui che gli può togliere il posto di lavoro o semplicemente quello cui si può addossare la colpa di tutto". Trump lo sa e usa quest'arma "come una catapulta", in attesa dell'effetto che genera sui sondaggi, tutte le volte che questi lo danno in caduta. "Come ora. Il dossier russo, la debolezza della riforma sanitaria e l'uscita dal patto sul cambio climatico lo hanno affondato nelle inchieste. Solo il 36 per cento dei cittadini, secondo Gallup approva la sua gestione". E dire che nelle ore in cui scoppiava la nuova polemica, uno dei commentatori del quotidiano messicano "El Economista" segnalava tracce di un ammorbidimento del discorso della Casa Bianca. "Lungi dall'essere moderato", il tono di Trump nei confronti del Messico risulta "meno belligerante", forse anche grazie al lavoro della diplomazia messicana. Il magnate di New York ha di recente detto al National Hispanic Advisory Council che potrebbe "ammorbidire alcune delle politiche migratorie", e ha parlato di applicare pannelli solari sul muro alla frontiera perché il Messico paghi meno: "non rinuncia alla costruzione di una barriera, ma è già passato dalla grande, grande muraglia che pagheranno tutti i messicani a pannelli solari che si pagano da soli e che, incidentalmente, dividono la frontiera. Di questo passo potrebbe proporre un muro di rose per abbellire i due lati del confine".

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