Il Consiglio superiore della magistratura non ci sta. E ha deciso di costituirsi in giudizio nel ricorso presentato da Antonio La Rana contro la nomina di Francesco Testa. A cui il Csm, lo scorso 11 gennaio, ha conferito l’ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Chieti. La Rana, in corsa per lo stesso incarico, si era rivolto al tar Lazio immediatamente, per chiedere di annullare la delibera assunta in violazione del testo unico della dirigenza giudiziaria e in difetto di comparazione tra i curriculum dei candidati: nella fase istruttoria Palazzo dei Marescialli ne avrebbe sminuito (a favore del concorrente poi risultato vincitore), il profilo professionale, sottovalutando la ricca e variegata carriera, nonché i pareri, ampiamente favorevoli, riportati a sostegno della sua candidatura.
Lo stesso magistrato che attualmente è procuratore generale vicario a Campobasso ha impugnato analoghe delibere del Csm: era infatti in lizza anche per la carica di Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell’Aquila. Come noto il Consiglio superiore gli ha preferito Pietro Mennini. Ma poi il tar a sorpresa ha rimesso tutto in discussione accogliendo il ricorso di La Rana. Cosa più unica che rara come dimostrano le statistiche: secondo un report aggiornatissimo elaborato proprio dal Csm non solo il contenzioso amministrativo sulle nomine per gli incarichi giudiziari, direttivi e semidirettivi, è in calo. Ma si sono ridotti al lumicino anche i casi in cui tali ricorsi vengono accolti.
La Rana sembra invece rappresentare un’eccezione. A ottobre del 2016, come detto, ha visto accolte le sue doglianze dal tribunale amministrativo regionale del Lazio davanti al quale aveva evidenziato come Mennini non possedesse, al momento della nomina da parte del Csm, un requisito previsto dalle norme. E cioè l’aver frequentato il corso per aspiranti dirigenti. Cosa assai comune, almeno fino a due anni fa. Se si pensa che erano poche le toghe in tutta Italia che risultavano aver partecipato ai corsi per aspiranti dirigenti tenuti dalla Scuola superiore della magistratura per i posti messi al bando il 30 giugno 2015: in tutto 136 pari ad appena il 26,36% degli aspiranti. Cosa che aveva spinto il Csm ad approvare una deroga sui corsi in questione, data l’urgenza di coprire un numero elevato di uffici vacanti e dati tempi rallentati di attivazione della formazione.
Ma il tar non ha voluto sentire ragioni e ha comunque accolto il ricorso di La Rana, che il corso, manco a dirlo invece lo aveva fatto eccome. Risultato: l’annullamento della nomina di Mennini poi congelato dal Consiglio di Stato in sede cautelare il 21 gennaio di quest’anno. E ora, sull’Aquila si è in attesa della decisione finale. L’udienza di fronte alla Suprema magistratura amministrativa per la discussione del merito del ricorso si svolgerà il prossimo 6 luglio. Una decisione che potrebbe fare da spartiacque all’Aquila ma anche ad altre latitudini.