Il botteghino per ora non premia questo film francese, di un regista noto oltralpe per essere capace di descrivere l’amore ed i sentimenti più intimi. I siti web di cinema lo qualificano come “drammatico” ma la storia raccontata da Guédiguain è un semplice spaccato di vita “normale”, di persone “normali”, che hanno superato la mezza età, per diversi motivi a disagio con il mondo che li circonda.
La crisi che ciascuno vive si acutizza a causa della malattia del padre: i tre fratelli, che da anni non condividevano alcunché, si ritrovano nella vecchia casa sul mare costruita dai genitori quando erano ragazzini, incastonata in un calanco sulla costa marsigliese.
Uno di loro, Armand, non si è mai allontanato, ha continuato a gestire il ristorante voluto dal padre per omaggiare un ideale di sinistra, di dare cibo buono a tutti. L’altro, Joseph, è un intellettuale inespresso, che si presenta ai familiari accompagnato da una compagna giovanissima, quasi una figlia quanto a differenza di età, che però ben presto si comprende essere già molto lontana da lui ed in procinto di lasciarlo, per un uomo più giovane e per un’esistenza più veloce.
La sorella, Angele, è una famosissima attrice teatrale, ha accumulato denaro e notorietà e sono anni che non torna a casa. La ragione della distanza che ha voluto mettere tra sé e quel luogo bellissimo è legata ad una disgrazia avvenuta nel mare davanti a casa, che l’ha segnata per sempre, togliendole ogni gioia, oltre che il suo grande amore.
Sono tre persone ammaccate dagli anni, non pacificate, senza aspettative per il futuro e con lo sguardo rivolto indietro, ai ricordi ed alle ferite del passato, evidentemente mai rimarginate.
L’andamento della storia è semplice, non è cinema francese da intellettuali, è quasi didascalico; la regia si muove piano tra i protagonisti, spiegando tutto allo spettatore, anche con l’uso di flashback (ho letto che sono pezzi di un vecchio film delle stesso autore con gli stessi attori, che infatti sono davvero più giovani e belli che nell’attualità delle riprese).
C’è un sottofondo ideologico sui temi dell’immigrazione e del valore e dignità dei vecchi mestieri (il giovane pescatore, appassionato di teatro per amore di Angele è un personaggio totalmente positivo) e di uno stile di vita non imperniato sul denaro e sul possesso di oggetti tecnologici o costosi. Lo sguardo del regista, come quello dei suoi protagonisti, rimpiange gli anni trascorsi in quel luogo, quando ancora era accesa la speranza di poterlo far diventare un posto di ritrovo, una sicurezza per chi fuggiva dal caos cittadino, una garanzia di umanità, aiuto reciproco, rapporti che non finiscono e si consumano in poco tempo, come orami pare essere, oggi, per tutto, compresi i sentimenti.
Lo spettatore è contagiato da questo atteggiamento di ripiegamento, si sente rassicurato da quella terrazza sul mediterraneo, rimasta immutata al passaggio delle generazioni. Anche la mente annebbiata del vecchio padre, che ha perso coscienza a causa di un ictus cerebrale, si risveglia alla fine per qualche istante solo grazie a richiami del passato.
Capirete che è sconsigliato a chi è un filino depresso, ma è comunque godibile, sopratutto per chi ama il cinema francese pregiudizialmente (pensate: io l’ho visto in lingua originale coi sottotitoli, e non prendetemi per pazza!). Grazie all’ambientazione meravigliosa e al barlume di speranza per una vita rinnovata dato dall’accoglienza data ai bimbi profughi arrivati chissà da dove, penso che meriti 3 ciak
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