Un’altra bruttissima pagina per la Regione Abruzzo, quella scritta ieri dal Garante per la privacy a proposito del famoso opuscolo di propaganda politica diffuso ai tempi del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. La Regione violò le regole sulla privacy: il Garante non ha dubbi.
Una pagina bruttissima perché dimostra la spericolata arrampicata sugli specchi del presidente-senatore Luciano D’Alfonso che per tentare di giustificarsi, sostiene in una nota inviata al Garante che il sito “La Regione dice la Regione fa” (il cui timbro compariva in tutti gli opuscoli intitolati “Basta un sì”) non è riconducibile alla Regione. Quello in cui pubblica gli interventi del Masterplan, le opere finanziate eccetera eccetera, secondo Dalfy, “pur pubblico, non è certamente correttamente qualificabile quale sito istituzionale bensì dovendo qualificarsi come un sito informativo sullo spiegamento dell’azione amministrativa e sull’attuazione del programma politico del presidente della giunta regionale”.
Dichiarazioni della cui veridicità, aggiunge il Garante, risponderà penalmente.
La vicenda prende spunto dalla denuncia di Augusto De Sanctis che aveva lamentato la violazione del codice in materia di protezione dei dati personali sulla quale c’è anche un’inchiesta della magistratura.
La difesa di Dalfy viene in parte smentita dalla stessa direzione generale della Regione: “Il sito istituzionale della regione Abruzzo è www.regione.abruzzo.it mentre il sito www.la regionedicelaregionefa.it è invece dello staff politico della presidenza e segue le iniziative di indirizzo politico di comunicazione politica anche della persona fisica del presidente”.
E invece il garante alla fine accerta che quel sito è sicuramente della Regione:
“Peraltro, la stessa presenza dello stemma della Regione in home page e della menzione del sito quale parte integrante del piano di comunicazione istituzionale della Regione, ne qualificano in termini non equivoci la riferibili all’Ente”.
Nessun dubbio, quindi: d’altronde anche l’Autorità per le garanzie delle Comunicazioni aveva stabilito che quella lettera era stata firmata da D’Alfonso e distribuita per posta dall’Ente con la dicitura “LaRegioneDiceLaRegioneFa”.
E non è l’unica bugia. In un altro passaggio, Dalfy scrive che la Regione non aveva alcuna responsabilità nella diffusione dell’opuscolo e che anzi la campagna comunicativa per il referendum era stata “seguita e gestita direttamente da un comitato nazionale per il Sì ai quesiti referendari senza alcuna diretta o indiretta riconducibilità allo scrivente”.
Io non c’entro niente, dice insomma D’Alfonso. Ma il Comitato per il sì lo smentisce e con una nota inviata al Garante, afferma di non aver “mai autorizzato, nell’ambito della campagna referendaria, l’invio di lettere prestampate a contenuto propagandistico a firma del presidente della regione Abruzzo nella sua veste istituzionale e che nessun coinvolgimento può essere attribuito al predetto comitato nazionale con riferimento alla segnalazione”.
Insomma, bugie su bugie.
Nel merito, il Garante dà poi ragione a De Sanctis: in pratica, era stato il Pd a violare il codice in materia di trattamento dei dati personali. Ma non applica nessun provvedimento prescrittivo o inibitorio perché siamo fuori tempo massimo. Però verificherà se è il caso di applicare una sanzione amministrativa.
ps: De Sanctis dal canto suo intende andare avanti: chiederà un risarcimento dei danni, e invita i cittadini che hanno ricevuto l’opuscolo a fare altrettanto. Hai visto mai.
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