Zitti zitti, piano piano. La diplomazia per ricucire con Donato Di Matteo è al lavoro. Giovanni Lolli ha insediato tre commissioni (sanità, edilizia, sociale e lavoro) su richiesta dell’assessore dimissionario, per studiare tutte le modifiche e i progetti che Di Matteo ha messo sul tavolo: condizioni inderogabili per appoggiare questa maggioranza. In teoria, se il lavoro delle commissioni dovesse essere recepito dalla giunta e dalla maggioranza di centrosinistra della Regione Abruzzo, Di Matteo potrebbe rientrare.
“Non basterebbe – dice lui – i programmi devono essere recepiti e sostenuti da impegni di spesa. Sennò sono soltanto chiacchiere. E solo allora, deciderò se rimetterci la faccia”.
La faccia: è tutto qui il punto. Per lui la gestione della Regione nell’era D’Alfonso è stata fallimentare, improponibile per un politico di sinistra. A differenza di altri, però, si è dimesso.
E al lavoro, nelle tre commissioni, insieme ai tecnici della Regione ci sono molti fedelissimi di Di Matteo: in quella sulla sanità ci sono Sabrina Di Pietro (ex dirigente amministrativo della Asl di Chieti poi dimessasi in seguito alla denuncia di Mauro Febbo che l’accusava di non avere i requisiti, e assolta dal tribunale), Francesco D’Atri, medico dell’ospedale di Popoli, Roberto Marzetti ex manager della Asl dell’Aquila; in quella sull’edilizia l’ex segretario del Pci Bruno Biagi.
Di Matteo chiede un’inversione di rotta radicale, chiede che D’Alfonso si faccia da parte, a prescindere dalle dimissioni, e che quindi non governi più le scelte della Regione; chiede modifiche nel piano sanitario e delle politiche dell’agricoltura, la riorganizzazione della macchina regionale, con controllo da parte di tutti e non più concorsi e nomine gestite da Dalfy, e soprattutto chiede che una parte delle risorse del Masterplan vengano dirottate sulle politiche del sociale, sostegno ai poveri e al lavoro.
“Se le accolgono bene, sennò io sto bene a casa mia”.
ps: tempo pochissimi giorni si capirà come andrà a finire. E mentre Dalfy lo manderebbe volentieri a quel paese (tanto che gli importa, lui sta al Senato), Lolli e il partito sanno che senza Di Matteo alle prossime elezioni sarà un tonfo che più tonfo non si può.