No, aveva detto no, che era troppo occupato con la campagna elettorale il presidente aspirante senatore Luciano D’Alfonso agli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri che volevano interrogarlo, come prevede la legge. Era il 29 gennaio di quest’anno, due mesi fa.
Lui risponde per mail all’invito dei legali di Ilario Lacchetta, che poi lo hanno denunciato per la tragedia di Rigopiano:
“Devo purtroppo comunicare che per il 1 febbraio 2018 sono convocato in Bruxelles presso il Comitato europeo delle Regioni e che, essendo candidato alle prossime elezioni politiche del 4 marzo, il connesso intenso impegno quotidiano nella campagna elettorale nell’ambito della Regione non mi consente di essere presente”.
Nella stessa mail, Dalfy precisa che gli accertamenti sui quali i tre avvocati intendono interrogarlo, non sono di competenza del presidente della Regione e che semmai, gli accertamenti di responsabilità penale sono riservati “al procuratore della repubblica”. Insomma, li snobba.
Ma l’avvocato Valentini e i suoi colleghi non si rassegnano: intanto gli contestano che la campagna elettorale rientri tra gli impedimenti legittimi e poi, nella stessa mail con cui immediatamente gli rispondono, si dichiarano disponibili a incontrarlo prima o subito dopo il suo viaggio a Bruxelles, “anche all’alba o fino a sera inoltrata, a sua scelta”. Una provocazione, certo, alla quale il presidente aspirante senatore risponde subito con un no.
Insomma, Dalfy non potrebbe rifiutarsi, lo stabilisce il codice di procedura penale. Ma lui si rifiuta, eccome:
“Mi permetto di osservare come non possa essere condivisibile la vostra affermazione secondo la quale la campagna elettorale non rivesta, a termini di legge, i tratti dell’impedimento legittimo – scrive Dalfy nella risposta datata 1 febbraio – infatti, la vastità del territorio nel quale deve essere svolta la campagna, le modalità di questa (riunioni, assemblee, colloqui, comizi eccetera), la ristrettezza dei tempi utilizzabili, come prefissati dal legislatore, ben possono costituire, a mio parere, legittimo impedimento. Peraltro non sembra che la mia mancata presenza ad una delle date da voi indicate possa essere qualificata come rifiuto”.
Invece proprio di rifiuto si tratta, tanto che i legali alla fine presentano la denuncia. La Regione è responsabile di gravissime omissioni, si legge nelle 50 pagine: sapeva che il territorio regionale era ed è “strutturalmente esposto per ampie zone al rischio valanghe; che doveva essere realizzata la mappatura dei territori esposti; che erano in fase di elaborazione delle procedure, da concordare col corpo forestale, per la diffusione puntuale, tramite sms, del rischio valanghe agli enti delle aree interessate”. In sei giorni, dal 23 al 29 luglio del 2014, sparisce la Carta di localizzazione del pericolo valanghe”, nonostante ci fosse già una delibera che stanziava fondi. Ma ecco cosa dicono gli avvocati Tatozzi, Valentini e Manieri:
“Il Sindaco di Farindola ci ha conferito un incarico – spiegano i tre avvocati – quello di indagare non solo a sua difesa, ma a 360 gradi, per fornire un contributo all’accertamento della verità su questa terribile sciagura che ha colpito la nostra Regione. Il Sindaco è consapevole che nel mandato che ha ricevuto dal Popolo è inclusa la protezione degli abitanti del territorio comunale ed è pronto a rispondere davanti alla giustizia delle sue condotte; ma vuole che l’accertamento includa tutti coloro che, al pari di lui, hanno ricevuto un mandato popolare che include anche la protezione dai pericoli, compreso il Presidente della Regione. E del resto il Presidente è capo della Protezione Civile regionale esattamente come il Sindaco lo è della Protezione Civile comunale e il Prefetto del livello Provinciale”
Il Presidente sapeva dell’emergenza neve in arrivo; sapeva della sua gravità.
“Conosceva i possibili costi in termini di vite – sostengono i tre avvocati – Sapeva sin dal giorno 16 che la Sala Operativa era in stato di massima allerta proprio a causa delle difficoltà di circolazione già create a quella data dalle copiose nevicate in atto; ma ciò nonostante non ha svolto nessuno dei compiti che la legge gli imponeva.
In sostanza, ciò che viene denunciato non è l’emergenza “dopo Rigopiano” ma l’assenza di una organizzazione per la prevenzione e per la gestione dell’emergenza neve. Quindi, aggiungono, “se il massimo organo di comando della Protezione civile regionale avesse ordinato la dovuta prevenzione e se avesse poi gestito l’emergenza neve nei modi ordinati dalla legge, oggi non saremmo qui a parlare di Rigopiano”.