L'arenile infinito come il mare che ha dinanzi e nel quale lentamente digrada, fino a quell'impercettibile orizzonte che di luce s'irradia e nella luce si perde, si fonde; l'odore della salsedine, delle reti da pesca intrise d'abisso, il chiacchiericcio soave delle mogli e delle madri nel loro lieve incedere sulla riva, un passo così morbido da apparir quasi sospeso nell'attesa delle ampie vele portatrici dei compagni pescatori, e poi ancora i bambini e le loro risa echeggiare in quell'angolo di paradiso che non è ancora mestiere ma puro gioco e futuro ricordo: tutto questo è ciò che emerge nelle marine di Pasquale Celommi (Montepagano, 6 gennaio 1851 – Roseto degli Abruzzi, 9 agosto 1928).
Pittore della luce, pittore di una felicità pura e candida come il riflesso di un'alba o di un tramonto sull'acqua, semplice ed essenziale come la vita di questi personaggi abilmente ritratti nella quotidianità di gesti usuali che nel lirismo della narrazione pittorica divengono invece attimi di pura poesia.
Chissà quante volte i giovani occhi del grande artista abruzzese hanno scrutato questo paesaggio, quando ancora fanciullo seguiva il padre Ilario in questo arduo ed affascinante mestiere, nella Roseto degli anni 1860/70. Di certo il richiamo del mare, della terra natia, fu in lui incessante, intenso e ad un tratto non più trascurabile.
Nel 1883, dopo un lungo periodo di studi presso la Scuola libera del nudo istituita all'interno della prestigiosa Accademia di Belle Arti di Firenze – un soggiorno finanziato dal magnate rosetano Camillo Mezzoprete, che subito intuì il sublime ingegno pittorico del piccolo Pasquale, allora ancora tredicenne – fece nuovamente ritorno nella amata cittadina abruzzese, tra quelle genti, quei colori e quei profumi che ne avevano segnato l'infanzia e forgiato le radici. In quel suo studio affacciato sul mare, sul presente e sul passato, in quella finestra su uno scenario in cui i personaggi attuali si mescolavano a quelli del ricordo, il Celommi lavorò con prolifica costanza e dedizione, dando vita ad un'arte che sfugge ad ogni classificazione entro qualche scuola o corrente pittorica, un fare artistico, quello della maturità in particolare, svincolato ormai tanto dall'accademismo toscano quanto dalle atmosfere esotiche morelliane e capace oggi di rivendicare un proprio autonomo spazio all'interno della stagione pittorica otto-novecentesca.
Un pittore, Pasquale, che si dimostra difatti lontano dalla pittura del riscatto sociale e che si fa invece interprete e prosecutore di quella poetica dell'Arcadia che nel mondo rurale e contadino vedeva un angolo di assoluta e pura felicità; una Arcadia ancora una volta tutta personale, i cui personaggi sono uomini comuni, umili, che nella semplicità del quotidiano lavorio rivelano tutta la bellezza dell'esistere, in cui il lavoro non è mai ostile, le condizioni mai avverse, in cui le mani non sono mai solcate dal freddo e la pelle non mostra segni di patimento.
Ma non solo marine; la produzione del pittore fu vastissima, sforando anche nel religioso con opere quali "La Crocefissione" o "La Sacra famiglia" della chiesa di S. Maria Assunta di Roseto degli Abruzzi. La sua fama varcò ben presto i confini nazionali ed i suoi dipinti furono apprezzati in Europa, negli Stati Uniti e perfino in Giappone; dal 1900 in poi, avvalendosi dell'aiuto del figlio Raffaello, lavorò in maniera continuativa per diverse gallerie italiane ed estere, per poi spegnersi nella amata città il 9 agosto del 1928.
Pasquale Celommi ci offre il ricordo degli ultimi scampi di una vita che abbiamo irrimediabilmente perduto, così come il senso stesso di un'esistenza nella quale al colore, nelle sue infinite, vibranti sfumature, abbiamo preferito una sterile scala di grigi, alla luce del paesaggio e della convivialità le nostre anguste e solitarie abitazioni, all'Adriatico puro ed incontaminato, intriso di rosa e d'azzurro come quel pennello danzante su tela, una distesa d'acqua impura, puntellata di lamiere.
Il pittore della luce, che la luce ci invita a riscoprire: una luce a tratti divina, capace di rivelare la bellezza di questo stralcio di paradiso nel quale abbiamo il privilegio di vivere.
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