“Non tutti i giorni sono uguali e ieri era un giorno speciale, irripetibile, un dono”: è il post che ha usato Camillo D’Alessandro ieri mattina alle 9 per festeggiare la sua nomina a parlamentare.
Certo, un giorno irripetibile, miracoloso: non capita a tutti di fare il parlamentare, un incarico che piacerebbe a tutti, privilegi stipendi da favola benefit rispetto inchini onorevole qua e onorevole là, e se sei giovane e nella carriera politica hai fatto soltanto il consigliere regionale o poco meno, allora sì, c’è da saltare sulla sedia dalla felicità.
Un giorno speciale anche per chi come Dalfy diventa senatore per soli 330 voti di differenza: non c’è proprio da stare allegri per un invincibile come lui.
Ma è uno schiaffo in faccia agli abruzzesi e agli elettori pd, quei pochissimi che non hanno tradito e anche a quelli che sono andati bellamente a votare altrove, che un neo parlamentare esulti pubblicamente come fa lui e come fa Stefania Pezzopane (anche Dalfy esulta ma lo fa in privato), dopo aver ridotto il suo partito al 13 e spiccioli per cento.
Un prezzo che il partito democratico ha pagato in Abruzzo anche e soprattutto per la scelta delle candidature, imposte a Roma da Luciano D’Alfonso che ha fatto una selezione accuratissima pescando tra gli amici e i fedelissimi, con senso di sfida e di arroganza: vi faccio senatori, vi faccio deputati.
Un prezzo che il Pd ha pagato proprio per l’inconsistenza delle candidature, imposte dopo aver cacciato fuori dalla stanza dorata dei papabili gli ex parlamentari, sicuramente più autorevoli e spendibili degli incoronati da D’Alfonso, e poi per la politica regionale.
Ieri mattina esultava Camillo e esultava Simone Coccia Colaiuta, per conto di Stefania Pezzopane, ma non ci sarebbe stato proprio nulla da esultare. Tutti e due capilista, mica scelti dal cielo.
Una sconfitta così pesante così eclatante, così sorprendente per chi era andato a Roma a promettere invece un pacco di voti così, fai fare a me e vedrai. Renzi, disperato, ha abboccato e si è trovato con un pugno di mosche in mano.
Lasciano la Regione e il Pd in brache di tela, ma non si rassegnano. Almeno la Pezzopane scrive che avrebbe scambiato volentieri il suo risultato e il suo successo per il risultato del Pd.
Esultano per il posto da parlamentare senza neppure la decenza di farlo a casa loro, e poi chiamano le truppe a raccolta perché vogliono continuare a fare danni: ieri mattina il presidente della Regione ha convocato tutti i consiglieri e gli assessori Pd per parlare del futuro dell’ente, per stabilire le mosse e i tempi, vorrebbe lasciare il vice presidente Giovanni Lolli fino alla scadenza naturale del 2019, ma il centrodestra e i cinquestelle non glielo consentiranno, già chiedono a gran voce le elezioni.
Nessuna analisi del voto, nessun mea culpa: si sono dimessi i segretari dell’Umbria, della Campania, persino la Serracchiani ha lasciato la direzione nazionale ma qui nulla, nessuno molla la poltrona. Il segretario Marco Rapino si è limitato a offrire la piena disponibilità
“per ogni percorso di riflessione che il PD affronterà sia a livello nazionale che regionale. Il nostro è un voto, sia nell’affluenza sia nel risultato, che ci lega al trend del sud, dove il PD in ogni regione ha perso tra 8 e 10 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2013. In Calabria dal siamo passati dal 22,3 al 14, in Campania abbiamo perso 9 punti, così anche in Basilicata (-9), In Sardegna – 10, in Abruzzo circa -9 . Tutte regioni governate dal PD. Si è votato poco tenendo conto dei candidati, a cui va un enorme ringraziamento per essersi battuti con coraggio e generosità, perché dietro questo voto di opinione si afferma una forte disaffezione che ha ragioni profonde, soprattutto nel Mezzogiorno. Ci sarà molto da approfondire nei prossimi giorni, sapendo che non c’è un destino personale da difendere, ma ricostruire quello collettivo”.
Ci sarà molto da approfondire, ma saldamente ancorati alle poltrone. Oggi è convocata la direzione regionale del Pd, all’ordine del giorno l’analisi del voto, non certo le dimissioni del segretario. Anche al Comune di Pescara la maggioranza comincia a friggere: si vota l’anno prossimo e il clima non è dei migliori. Anche il centrodestra non se la passa bene: ormai tra i consiglieri ci sono più pluri-trombati che vincenti, come lo stesso Guerino Testa, come Carlo Masci.
Ma eccoli, finalmente, gli eletti abruzzesi. All’appello mancano molti nomi noti, il Parlamento dovrà fare a meno delle mise di Paola Pelino, la signora dei confetti di Sulmona, e anche di Federica Chiavaroli che nei suoi spot elettorali rimpiangeva di avere poco tempo da trascorrere in casa: ora ne avrà tanto. Silurato, indirettamente, anche Filippo Piccone che sperava di subentrare a Bruxelles al posto di Lorenzo Cesa che però non ce l’ha fatta e lascia a piedi l’ex parlamentare alfaniano.
In Abruzzo vincono a mani basse i 5 stelle che persino nel paese del governatore, Lettomanoppello, ottengono il 42,99 per cento dei voti per il candidato Del Grosso che poco più giù a Manoppello, paese della moglie di Dalfy, arriva addirittura al 50,01.
Sono 14 i seggi alla Camera, ecco gli eletti:
5 all’uninominale: Andrea Colletti (M5S), Daniele Del Grosso (M5S), Carmela Grippa (M5S), Antonio Zennaro (M5S), Antonio Martino (Centrodestra)
9 al proporzionale: Gianluca Vacca (M5S), Daniela Torto (M5S), Valentina Corneli (M5S), Fabio Berardini (M5S), Luigi D’Eramo della Lega (grazie alla rinuncia di Silvana Andreina Comaroli eletta anche in Lombardia), Giuseppe Bellachioma (Lega), Camillo D’Alessandro (Pd) e Stefania Pezzopane (Pd) e Gianfranco Rotondi (Fi).
Sono 7 i seggi al Senato, gli eletti:
2 all’uninominale: Gaetano Quagliariello (centrodestra), Primo Di Nicola (M5S)
5 al proporzionale: Luciano D’Alfonso (Pd), Gianluca Castaldi (M5S), Gabriella Di Girolamo (M5S) Nazario Pagano (Fi), Alberto Bagnai (Lega).