L’assassino di Monia Di Domenico è stato condannato oggi a 30 anni di carcere. Il pezzo su questa giornata, su questa lunghissima attesa, su questa vita stroncata, lo scrive, ancora una volta, Barbara Orsini, giornalista e amica del cuore di Monia. Le sue parole sono le nostre.
Trent’anni. Gli hanno dato 30 anni. Lo hanno condannato a 30 anni di carcere. La tua vita fatta, letteralmente, a pezzi è valsa “ almeno” 30 anni di cielo a scacchi per chi è stato capace di colpirti a morte e poi andare in bagno a lavarsi le mani sporche di sangue. Tua mamma e tuo padre hanno vissuto 13 mesi attendendo “solo” questo istante compiutosi alle 16 in punto, più o meno alla stessa ora in cui venivi uccisa. Li abbiamo spiati ( eh sì tesoro bello sapessi in quanti eravamo fuori dall’aula oggi a Chieti… a proposito, c’era un cielo nero di neve come quel maledetto 11 gennaio), li abbiamo spiati dicevo riemergere a galla da un’apnea che in confronto i più esperti sub sarebbero parsi dei principianti.
C’erano i tuoi cugini, i tuoi zii, i tuoi vicini di casa, c’erano le tre “Barbare” e le tue altre amiche belle ( come ci chiamavi tu), tutti insieme fuori da un’aula in cui per 3 lunghe odiose ore sono stati ripercorsi i tuoi ultimi attimi di vita, i colpi al viso, all’occhio, poi sulla fronte. 16 in tutto dice l’autopsia che oggi mamma Doretta e papà Aldino hanno “dovuto” riascoltare. E poi lo scannamento (sì perché questo ti ha fatto il tuo assassino, e quindi non ha senso usare un sinonimo o censurare la morte che ti ha inflitto): per giustificare l’averti avvolta in un lenzuolo per nasconderti abbiamo sentito abusare di termini come raptus e panico ma noi siamo rimasti tutti lì, immobili e certi dal primo all’ultimo che giustizia sarebbe stata compiuta.
Nessuno ha pianto mai, qualcuno ha avuto la tentazione di irrompere nell’aula quando dall’esterno abbiamo captato passaggi della difesa del tuo assassino forse fare solo il proprio dovere, di certo insistere molto sul voler far passare come incapace di intendere e di volere chi, invece, sapeva perfettamente cosa stava facendo (come ribadito in aula lungamente e fermamente dal professor Cupillari, psichiatra incaricato dal giudice Isabella Maria Allieri).
Eh amica ci conosci e quindi dovevi immaginartelo che se qualcuno ha pensato a portare acqua a tarallini (esattamente quelli che adoravi tu ) per tutti, qualcun altro ha rischiato di entrare in aula per dire semplicemente “basta”.
Ci è parso di capire che secondo la difesa avresti quasi potuto scappare ma non lo hai fatto, che potevi comprendere il disagio economico del tuo assassino e accontentarti della caparra e, invece, hai chiesto i soldi che ti doveva, che se i colpi al volto e in testa anziché 16 fossero stati 100 non sarebbe cambiato molto, che il collo te lo sei tagliato da parte a parte cadendo su un tavolino di cristallo (quello del salotto che da bambina ricoprivi di sabbia di ritorno dalle giornate al mare di Francavilla).
Mamma Doretta ha perso la pazienza un paio di volte ma la giudice, che le ha solo chiesto se ce la facesse a restare in aula, ha compreso perfettamente che quel suo rumoreggiare dalle ultime sedie dell’aula più che di una bocca era di un cuore. Non ti dico i nostri di cuori lungo quel corridoio che giri hanno fatto e che rumore.
Mentre dentro l’aula si raccontava della tua morte, della tua sofferenza, della tua agonia, della ferocia con la quale sei stata colpita, noi fuori ci siamo rincorsi con aneddoti, coi buffi soprannomi che puntualmente hai dato a tutti i nostri fidanzati, col tuo solito estremo tentativo di entrare a forza in ballerine di tre numeri più piccole del tuo piede ma per te irresistibili.
Mentre dentro l’aula si contavano i colpi sul tuo viso rimasto bambino, noi fuori abbiamo sorriso del tuo mega albero di Natale “da novembre a febbraio”, dei regalini che ci riportavi dalle vacanze e ti abbiamo invidiata, sì persino oggi, per quel fisichetto da sirena che spalmavi (come dicevamo sempre) al sole della tua amata Pescara.
La mamma di Jennifer (Sterlecchini) ha mandato a me un messaggio da leggere a Doretta, ti sarebbe piaciuta sai, è una donna così forte: oggi c’erano anche persone che tu non conoscevi ma che ora fanno parte dell’eredità di affetti e occhi che hai lasciato a mamma e papà.
Quando alle 15 in punto la giudice ha detto che alle 16 avrebbe pronunciato la sentenza all’improvviso è calato il silenzio tra tutti noi. Un silenzio mai sentito prima in questi 398 giorni in cui avevamo assecondato il bisogno di far rumore forse per non lasciare troppo spazio al dolore che ci urlava nelle orecchie. 30 anni Monia (finalmente riesco a scrivere il tuo nome): al tuo assassino (Giovanni Iacone) hanno dato 30 anni di carcere.
Pochissimo, nulla quasi per noi ma il massimo che col rito abbreviato gli potessero infliggere. Ora se a scrivere fosse la tua “Barbara giornalista bella” dovrei spiegarti l’aggravante della crudeltà, dell’occultamento del cadavere etc etc ma non credo di dover esser io a dire a te cosa ti ha fatto. E comunque non ce la farei. Il giorno dopo la tua uccisione scrivendo un articolo, che ora a rileggerlo mi sembra di una Barbara di due vite fa, piangendo per tutto il tempo mi dissi che quello sarebbe passato alla storia come il “pezzo” più difficile della mia vita. Non è così amica mia perché oggi non è stato meno doloroso di quel giorno.
E’ troppo presto per dire che sì il dolore si livella ad uno stadio sopportabile quasi scientificamente e che il tempo guarisce e placa. Oggi non è meglio di ieri perché finalmente il tuo assassino è stato condannato al massimo della pena che gli si potesse dare. Lo abbiamo sempre saputo, dicendolo da 13 mesi con la forza di mille cuori, che nessuna giustizia ti avrebbe restituita a noi e, oggi, purtroppo sappiamo quanto diamine siano vere e laceranti queste parole.
Non c’era bisogno di una sentenza ma oggi anch’essa ci ha detto che è inutile aspettarti on line sulle chatt, che non scarteremo più i tuoi fantastici regali di Natale, che non vedrai i tuoi nipoti crescere, che che… Però dovevamo tornare in qualche modo a galla da un abisso che rischiava di inghiottirci per sempre e oggi questa sentenza è stata la nostra ciambella di salvataggio.
Una ciambella anche per tutti coloro che dovranno attendere lungo un corridoio una sentenza che restituisca loro “almeno” il senso della giustizia fatta. Ah, prima che mi dimentichi di dirtelo: da lunedì cominciamo ad organizzarti un compleanno ( il 9 giugno ) che in confronto le tue fughe dall’altro capo del mondo saranno vacanze da pensionata. Qualcosa di strepitoso all’insegna di musica, arte …vabbè non ti posso mica dire tutto già ora. A stretto giro, invece, abbiamo deciso di fare una cenetta di quelle che adoravi tu piena di cose buone (le famose “schifezze dai tanto per una volta”): saremo in tanti e sorrideremo dall’antipasto al dolce perché ora vogliamo cominciare a ricordarti col sorriso. Magari proprio dall’inizio alla fine sarà dura sorridere tutto il tempo specie quando ci ritroveremo ad aspettare i tuoi dolcetti “ senza niente ma misteriosamente buonissimi” e capiremo che non arriveranno più.
Ps. Non avendo nemmeno tentato la nuda cronaca di una sentenza a 30 anni di reclusione per l’omicidio di una giovane donna, ringrazio Lilli per aver concesso a Monia, Doretta, Aldino e tutti noi questo spazio ogni volta che lo ha ritenuto e soprattutto la ringrazio personalmente per avermi concesso di raccontare questa giornata con l’alfabeto del cuore piuttosto che con l’Arial Black 11 di un articolo di cronaca che mai, mai, avrei potuto firmare.
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