I ragazzi del '99 - Easy writer/Il racconto/Marco LaGreca


Fu una misura estrema, dopo una sconfitta, quella della battaglia di Caporetto, nell'ottobre di quell'anno, di proporzioni tali che ancora oggi su usa l'espressione "è stata una Caporetto"


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
20/01/2018 alle ore 16:11



“I ragazzi del 99” erano una vicenda lontana, tanto da venire studiata nei libri di storia, già quando ero bambino. Sì, perché i ragazzi del ’99, ovvero i nati nel 1899, erano quelli che nel 1917, durante la prima guerra mondiale, vennero chiamati a rinforzare un esercito italiano allo stremo, nel corso della prima guerra mondiale. Erano ancora minorenni, perché allora, e così è stato fino al 1975, si diventava adulti a 21 anni. Un po’ come se oggi, in un’epoca in cui, codice civile alla mano, lo si diventa a 18 anni, venissero chiamati i quindicenni.

Fu una misura estrema, dopo una sconfitta, quella della battaglia di Caporetto, nell’ottobre di quell’anno, di proporzioni tali che ancora oggi su usa l’espressione “è stata una Caporetto” per indicare una disfatta dalle conseguenze disastrose.

Quei ragazzi furono decisivi per risollevare le sorti del conflitto, sino alla gloriosa (questo è l’aggettivo che viene utilizzato, con un po’ di retorica militare, ma vicino al vero), battaglia di Vittorio Veneto, il 4 novembre 1918, che segnò la resa dell’esercito austriaco e la fine della prima guerra mondiale.

Quando ero bambino, quei ragazzi erano anziani ed oramai pochi, decimati dalla guerra cui avevano partecipato come protagonisti (la prima guerra mondiale, appunto), da quella cui avevano assistito come civili (la seconda guerra mondiale), oltre che, ovviamente, dal tempo trascorso(in un’epoca in cui l’aspettativa di vita era assai più breve dell’attuale). Conobbi uno di loro, durante la mia infanzia. Era anziano, taciturno, comunista e orgoglioso di ciò che la sua generazione aveva saputo fare in quel frangente drammatico.

L’ultimo ragazzo di quel 99, a quanto leggo, è scomparso nel 2007. Adesso ci sono i nuovi “Ragazzi del ’99”. L’ha ricordato il Presidente della Repubblica, nel discorso di inizio anno, evidenziando che mentre quelli, in tempo di guerra, venivano chiamati alle armi, questi, in tempo di pace, sono chiamati alla vita democratica e fra poche settimane, per la prima volta, eserciteranno il loro diritto di voto.

Sono pure questi dei ragazzi di fine secolo. Disconnettendo il link mentale con i corrispondenti ragazzi di fine 800, entriamo subito nella contemporaneità. I ragazzi del 99, oggi, sono la generazione millennial, i nativi digitali, i youtuber, i tutto sul cloud e in streaming .

Io sono in mezzo. Non più giovane, non ancora anziano. Non sono millennial, ma uso il pc e lo smartphone, ascolto la musica in streaming, da poco mi misuro con la memoria in cloud e vado pure su youtube, anche se, in genere, per ascoltare le sigle delle trasmissioni o degli sceneggiati della mia infanzia, tipo “Tante Scuse” o “Gamma”.

Sono già un uomo del secolo scorso. Se penso ai miei omologhi di due secoli fa, mi rendo conto che erano bambini quando Roma era ancora la capitale dello Stato della Chiesa, poco più che trentenni quando l’anarchico Gaetano Bresci uccideva il Re d’Italia, e che avevano l’età mia quando i ragazzi del ’99, quei ragazzi del ’99, trionfavano a Vittorio Veneto.

Mi sembra che il cerchio si chiuda. Una circolarità che rassicura, in genere. Questa volta, invece, avverto un senso di inquietudine. Di costrizione. Mi prende, allora, un invincibile desiderio di fuga, di ribellione. “Da e a cosa?”, mi chiedo.

Non lo so.

Però poi mi calmo.

Penso che oggi è il 20 gennaio 2018 ed inizia il fine settimana. Che tutto è in movimento, fuori e dentro di noi. Che non sappiamo cosa succederà domani ed è proprio questa la nostra salvezza.

 

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