“Chi non fa non sbaglia mai”. “Massimo unico sindaco dell’Aquila”. Non facciamo in tempo a sederci nel bar del Corso dell’Aquila con il sindaco Massimo Cialente che l’intervista è interrotta, a ripetizione, da quanti, in processione, vengono ad omaggiare lui: il sindaco. All’ultimo giorno di lavoro dopo un’esperienza lunga dieci anni. “Difficili fin dal primo giorno, ma appassionanti” dice in questa intervista ad Impaginato.it in cui ripercorre la sua esperienza da primo cittadino. Assurto alla cronaca mondiale per il devastante terremoto del 6 aprile 2009 che ha rischiato di cancellare per sempre la città. “Ho visto il terremoto e la città avvolta in una nube gialla. Pensavo che saremmo morti tutti. Che l’Aquila fosse finita. Ma avevamo una visione. E dal giorno dopo sapevamo quello che avremmo dovuto fare. Lo abbiamo fatto. Quindi oggi lascio con il rammarico di non poter vedere da sindaco L‘Aquila già ricostruita. Ma so che questo avverrà. E in tempi molto rapidi”.
Sindaco, com’è l’ultimo giorno di scuola?
Mi sento come uno che deve inventarsi una quarta vita. Una volta consegnate le chiavi del comune riprenderò servizio in ospedale. Che lascerò a dicembre per andare in pensione. Ma la politica non la lascio. Certo, se Francesco Totti ha lasciato i campi di calcio, può smettere anche Cialente. Ma io credo di avere ancora qualcosa da dare: non mi troverete in qualche consiglio di amministrazione o in qualche altro posto di potere. Non mi interessa.
Si candiderà alla regione? Cosa c’è nel suo futuro?
Ho fatto 13 campagne elettorali e le ho sempre vinte tutte. Se alle politiche il partito sceglierà i candidati con le primarie io sarò in campo. Perché credo in questo strumento, a patto che si tratti di una competizione vera. Nel 2019 (quando si voterà per la regione, ndr) sarà la stessa cosa: quello che può salvare il Pd sono le primarie che indovinano sempre il candidato giusto. Qui all’Aquila portammo a votare 10 mila persone, un quarto di quanti saranno chiamate alle urne nelle prossime ore. Da quella esperienza è venuta fuori una coalizione, come quella che corre domani. E che altro non è che l’Ulivo.
Ma a livello nazionale il Pd sembra aver imboccato un’altra strada
L’Italia non è un Paese delle grandi intese. Io credo nel maggioritario e in una coalizione seria di centrosinistra. Renzi nonostante la sconfitta al referendum dove ha pagato un mix micidiale di arroganza giovanile e personalizzazione, è ancora vivo: ma deve decidere la linea in cui devono essere centrali la solidarietà, la giustizia sociale, le pari opportunità. Basta guerre intestine tra noi. La ‘rottamazione’ di pezzi importanti del Pd è stata una sciocchezza. Almeno quanto la decisione di Massimo D’Alema e Bersani di andare via.
Qual è l’alternativa per il Pd?
Ripartire dall’esperienza ulivista che è morta sotto i colpi dei vari Bertinotti. Penso ai momenti alti che abbiamo saputo interpretare con i governi prodiani. Specie nelle città: all’Aquila il Movimento 5 Stelle è accreditato tra il 7 e il 18 per cento. A livello regionale è al 35. Forse perchè, come accade a livello nazionale si è data la sensazione di non assoluta trasparenza e l’incapacità di dare risposte. Io qui ci sono stato sempre nei momenti brutti e in quelli belli, non abbiamo guardato in faccia a nessuno.
Cosa pensa del governatore Luciano D’Alfonso?
E’ molto proiettato sull’infrastrutturazione della regione. Ma c’è bisogno di un piano strategico a tutto campo e per ogni area del territorio. Altrimenti si verifica quello che è già avvenuto: arrivano i soldi e non si sa bene cosa farci. Credo che Luciano che può contare su una testa pensante come quella del vicepresidente Giovanni Lolli debba andare in questa direzione: l’Abruzzo ha bisogno di qualcuno che riesca a fare una sintesi di tutte le vocazioni territoriali. Se mi chiede però chi è l’unico politico abruzzese mi viene in mente subito Giovanni Legnini (attuale vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ndr)
E lei cosa farebbe per prima cosa se diventasse presidente della regione?
Una cosa in apparenza folle: farei una scuola internazionale a partire dalla materna. E poi farei esattamente la stessa cosa che ho fatto fin dal primo giorno all’Aquila. Essere ambizioso, guardare al futuro. Quando annunciarono la fine del polo elettronico di Flextronics, dove trovavano impiego 5500 persone la città entro in una crisi economica nera che era anche una crisi di identità. L’abbiamo fronteggiata puntando sulla formazione, l’industria, la cultura e il turismo. Tutti pezzi di uno stesso disegno di futuro. Da questo puntoo di vista abbiamo vinto la sfida: l’Aquila è tra le prime 50 città europee.
La ricostruzione però qui arranca…
La ricostruzione privata si concluderà a breve. Qui nel centro storico un grande gruppo industriale riporterà i negozi. Abbiamo aperto il Maxi, abbiamo portato il 5G, le istituzioni culturali sono ancora vive. Non era scontato. Specie perché dopo il terremoto volevano evacuare la città che sarebbe inesorabilmente morta. Invece abbiamo scelto un’altra strada. Ma ha avuto un costo: quando ci hanno scippato le risorse ho riconsegnato la fascia tricolore a Napolitano. In quel momento a Palazzo Chigi c’era un mio amico, Enrico Letta. Non ho guardato in faccia a nessuno. E se oggi, nonostante tutti i problemi, gli elettori si fidano ancora del Pd per come lo abbiamo interpretato qui all’Aquila è per questi motivi.
Quale è stato il momento più duro? Quali gli avversari più implacabili?
Quando volevano trasferire gli uffici, l’università, i reparti speciali della sanità, la Banca e tutti i loro dipendenti nelle città vicine. Lo abbiamo impedito perché questo avrebbe significato che non sarebbe tornato più nessuno indietro. Ringrazio Gianni Letta che ha capito ciò che si sarebbe consumato. Non perdonerò mai chi in questa regione voleva approfittare della nostra debolezza per farci a pezzi.