Di Livio, c"era un ragazzo


Easy writer, il racconto, Marco La Greca



Categoria: Maperò
11/06/2017 alle ore 11:07



Lo vedo davanti a un gommista, a Roma, in via della Bufalotta. Ha 50 anni, ma sembra un ragazzo. Jeans, maglietta, occhiali a goccia. Parla con due o tre persone. E’ una scena che ho visto una infinità di volte. Un gommista, o un meccanico, e poi un po’ di persone, che non sono né gommisti, né meccanici, né clienti. In genere parlano di calcio, a volte di donne, più raramente di politica. Ora, ad esempio, stanno parlando di calcio. Il “ragazzo” che sta davanti al gommista è Angelo di Livio. Siamo più o meno coetanei. Lui è nato nel 1966, io nel 1969. Siamo pure dello stesso quartiere, anche se non ci siamo mai incontrati. Percorsi paralleli, facendo le stesse cose. Gli appuntamenti allo “Zio”, le passeggiate per via Ojetti, il bar Edy. Pomeriggi alla ricerca di se stessi. E poi le camicie di “Portone”, le cinte di “El Charro” e i jeans 501. Ve lo immaginate Di Livio, quindicenne, a metà anni 80?

Angelo Di Livio

Seppi di lui, la prima volta, quando, dal Padova, andò alla Juve, nel 1993. Aveva ventisette anni, era già un giocatore bello e fatto. Io ne avevo 24 e arrancavo sui miei esami universitari.
Quelli della Gialappa’s lo prendevano in giro, all’inizio. Su un collage di lisci, svarioni, capitomboli, commentavano, sarcastici: “l’ultima genialata della Juve: dare via Di Canio e prendere questo tornantino tutto pepe”. Quel “tornantino”, poi, si è rivelato una forza della natura e ha vinto quasi tutto quello che c’era da vincere. Sempre lontano da Roma e dalla Roma, però. Sì, perché il nostro, scoprii a un certo punto, era romano e romanista. La simpatia, allora, è stata immediata. Lo chiamavano “soldatino Di Livio” e chissà se ne è mai stato contento.
Quando, nell’estate del 2001, sul finire di una carriera gloriosa, sembrava che dovesse venire alla Roma e coronare un suo antico sogno, ho fatto per lui un tifo sfrenato. Non se ne fece nulla, però.
Ha fatto in tempo a giocare il mondiale del 2002 e poi ancora fino al 2005, nella Fiorentina, divenendone una bandiera, prima di essere scaricato dai Della Valle. A quel punto è tornato a casa, nel suo e mio quartiere, dove aveva mosso i primi passi nella “Polisportiva Bufalotta”.

Mentre parlava, davanti al gommista, vedevo le ruspe dei nuovi palazzinari, sullo sfondo, che sventravano l’area, un tempo verde, intorno al liceo Nomentano, e me lo sono immaginato, ragazzino, giocare a pallone su quei prati. Anche io avevo un mio prato, un po’ più in là, oltre piazza Sempione.
Nell’ora in cui scrivo queste righe, la città dorme e la notte si fa dolce.
Da qualche parte ci sono due ragazzi che sognano del loro futuro. Sono inquieti e pieni di vita. Uno sa che vuole fare il calciatore, l’altro sa che vuole finire il liceo, poi l’università, poi chi lo sa. Uno farà il calciatore e vincerà quasi tutto quello che è possibile vincere. L’altro farà un mestiere “normale”, però pensando sempre che un giorno, invece, chissà.
Un giorno si incroceranno. Uno riconoscerà il calciatore e si concederà, scrivendone, di fermare l’emozione di quel momento. A quei due ragazzi potrei raccontare molte altre cose ma preferisco non svegliarli. Adesso è ora di dormire. E, se possibile, di sognare

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