L’inizio dell’anno è uno dei momenti in cui ci si misura con il tempo. Con quello che viene e con quello che va. L’ho fatto anche io, ovviamente, mi basta pochissimo per misurarmi con l’argomento. Uno dei propositi di inizio anno è proprio quello di provare a pensarci e a scriverne un po’ meno. Spero di riuscirci.
Mi sono reso conto, quindi, che ci dibattiamo in frangenti nei quali lo imploriamo di fermarsi ed altri nei quali vorremmo che non lo facesse mai. Sono dovuto arrivare a 48 anni per acquisire la consapevolezza di questa banalità.
Momenti nei quali il tempo dovrebbe fermarsi sono, per esempio: quando sei in ritardo; quando sei a letto, distrutto dal sonno, e sai che fra pochi minuti ti devi alzare; quando hai finalmente raggiunto un obiettivo e lo vuoi celebrare; a scuola, prima di entrare in classe o durante la ricreazione; la notte prima di un esame, di un compito in classe, di una interrogazione; al primo bacio; al primo tutto; quando la tua squadra del cuore sta perdendo e mancano pochi minuti alla fine della partita; quando, ad un concerto, ascolti la canzone della vita; quando sei tutt’uno con chi hai accanto a te; quando sai che un momento così lo ricorderai a lungo; quando pensi che un momento così non ricapiterà più; quando tramonta il sole e senti di essere in armonia con il mondo; quando tuo figlio o tua figlia ti tocca il viso, i medici dicono che i suoi occhi ancora non vedono ed il suo sorriso è solo un riflesso muscolare, ma tu sai che quello è proprio un sorriso e quegli occhi ti stanno guardando, perché, più dei medici, ascolti le dita su di te; quando vedi la gioia negli occhi di chi hai di fronte e sai di essere stato tu a donarla; quando ti sembra che solo avere più tempo possa salvarti.
Vorresti, invece, che il tempo passasse in un soffio: quando hai paura; d’inverno, pensando all’estate; da bambino, aspettando l’arrivo di Babbo Natale; quando hai dieci anni e sogni di averne diciotto; quando, sdraiato per terra, non ce la fai più, ed il professore di educazione fisica ti dice: “questo è solo l’inizio”; prima di un esame, di un compito in classe, di una interrogazione, perché, ad un certo punto, te li vuoi lasciare alla spalle, sia a quel che sia; dopo che sei andato a vivere da solo e, porca miseria, non è ancora arrivata la tua prima bolletta, passaggio necessario per sentirti compiutamente adulto; quando la tua squadra del cuore sta vincendo e manca ancora mezz’ora alla fine della partita; quando cerchi l’amore; mentre stai andando da lei (o da lui); alla prima ecografia, quando ascolti quel battito e ti immagini una cellula che corre verso di te e ad ogni passo si fa bambino o bambina; quando sei in ospedale ed aspetti che nasca; quando chi hai amato ti dice che è finita; quando sei tu a dire che è finita; quando ti sembra che solo andare più veloce possa salvarti.
Insomma mi sono reso conto che al tempo chiediamo di essere tutto e il suo contrario, veloce o lentissimo, a seconda delle nostre mutevoli esigenze. Lui invece va, per conto suo. Del resto, a chi dovrebbe dare ascolto? Al bambino che vuole vivere otto anni in un giorno, per essere subito maggiorenne, o a quello che, in questo momento, spera che non arrivi mai il 7 gennaio?
Al ragazzo che vuole diventare adulto o all’adulto che non vuole invecchiare? All’anziano che vorrebbe dilatare ogni istante o a chi, ad un certo punto, dice “ma sì, se proprio deve essere, che sia veloce”? Per fortuna lui non ci ascolta e va. Con il suo tempo. Che in qualche modo, e forse proprio per questo, è anche il nostro. Sempre. Il tempo che viene, il tempo che va.
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