Ci sarà o no una nuova Europa più sociale? La versione di Gargiulo


Tutto pronto a Goteborg per il vertice europeo su occupazione e crescita equa (17 novembre)


di Silvia Grandoni
Categoria: ABRUZZO
07/11/2017 alle ore 19:48



Creare un domani migliore per tutti i cittadini europei sfruttando le nuove opportunità e affrontando le sfide comuni che riguardano i mercati del lavoro e i modelli di welfare attuali e del futuro. È questo l’obiettivo del vertice che si terrà il prossimo 17 novembre a Göteborg (Svezia) che riunirà i capi di Stato e di governo dell’UE, le parti sociali europee e gli stakeholder di maggior rilievo per discutere su come promuovere l'occupazione e la crescita eque in Europa.

 

QUI GOTEBORG

Il Social Summit for Fair Jobs and Growth, basandosi sulle prospettive e l'esperienza di ciascun Paese, intende promuove il confronto e lo scambio dinamico di opinioni, attraverso un format interattivo che combina sessioni plenarie con discussioni in gruppi più piccoli.

“Vogliamo un’Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica”, questo è l’impegno assunto nella dichiarazione sottoscritta a Roma il 25 marzo 2017 in occasione del sessantesimo anniversario dell’Europa. “La crisi economica ha avuto pesanti ripercussioni sulla vita delle persone e sulle nostre società. I cittadini si chiedono se i benefici e le sfide associati a mercati e società aperti, all’innovazione e ai cambiamenti tecnologici siano equamente distribuiti – si legge nel Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa redatto dalla Commissione europea-. La loro fiducia nella capacità dell’Europa di influire sul futuro e di dar vita a società eque e prospere è stata intaccata. La nostra aspirazione comune per un’Europa sociale è un modo per godere nuovamente di sostegno e prendere in mano il nostro avvenire”.

 

GARGIULO

L’Unione europea, quindi, si salverà con un’anima più sociale? ImpaginatoQuotidiano lo ha chiesto a Pietro Gargiulo, professore ordinario di diritto internazionale presso l'Università degli Studi di Teramo, che nel corso della sua carriera si è anche occupato di tematiche attinenti al modello sociale europeo e alla cittadinanza europea.

“Che l’assenza di una politica sociale nell’ Ue sia uno dei limiti fondamentali della costruzione del processo di integrazione, nonostante siano stati fatti passi in vanti, è un dato incontestabile- osserva Gargiulo- . Ma non ritengo che sia l’unico problema e inoltre, nessuno finora ha saputo indicare con esattezza cosa si intenda per modello sociale europeo”.

“L’anima sociale è sicuramente utile, anzi deve esserci, ma l’UE potrà salvarsi solo mettendo in campo una politica reale di approfondimento del processo di integrazione che vada verso un’Unione europea di tipo federale.

L’assenza di una vera politica sociale dell’Unione europea non può giustificare la mancanza della stessa nei singoli Paesi. Gli Stati devono autonomamente attivarsi e per fare questo occorre reperire maggiori risorse economiche.

 

COSA FARE?

Occorre una trasformazione sotto questo profilo di carattere politico forte che attualmente nessuno Stato membro ha. Il reale problema è poi un altro, riguarda la mancanza di coinvolgimento dei cittadini europei. Le persone vogliono una politica unificata? Vorrebbero un esercito comune, ad esempio? L’Italia oggi non sembra avere una forte propensione europeista, e gli unici che dimostrano di averla sono i giovani della ‘generazione Erasmus’, quelli che hanno potuto verificare con mano i vantaggi dell’apertura europea dei loro Paesi”.

Ma non è stato proprio l’assistenzialismo a creare debito pubblico? “Questo è vero, ma la povertà in qualche modo bisogna combatterla, l’esistenza di situazioni di squilibri deve essere contrastata dalle istituzione e devono essere previsti degli elementi per permettere loro di intervenire. Non è detto poi che sia una cosa negativa, anche perché per non fare debito allora facciamo morire le persone? L’UE dovrebbe intervenire anche sul piano della salute, del lavoro e su tanti altri fronti, ma occorre fornire delle dimostrazioni concrete ai cittadini europei. Fino a quando la politica sociale non si trasformerà in reale impegno, la distanza tra UE e cittadini aumenterà sempre di più".

 

LA PALLA AI GOVERNI

I governi devono quindi farsi più sensibili alle istanze dei lavoratori? Secondo il prof. Gargiulo sicuramente ci troviamo di fronte a dei governi che portano avanti politiche poco sensibili e di conseguenza lo saranno anche le politiche europee. "Anche se credo che il singolo lavoratore e le associazioni di categoria che li rappresentano siano sempre più stanche. Si è persa la voglia di lottare per i propri diritti e i sindacati sembrano sempre più deboli".

Inevitabile toccare il tentativo di alzare a 67 anni l’età pensionabile: ma non si rivela in controtendenza rispetto alle politiche di welfare auspicate dall’UE? "E’ giusto fare un dibattito che tenga conto della correlazione tra l’aumento delle aspettative di vita e l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, - sottolinea - ma allo stesso tempo occorre discutere anche sulla diversità delle tipologie di lavoro. E’ chiaro che per alcune professioni così dette usuranti vi saranno gravi ripercussioni, ma per altri lavori non credo cambierà molto. Il punto però è un altro. È mai stata fatta una verifica sull’esistenza del nesso di causalità tra l’innalzamento dell’età pensionabile e il ritardo dell’ingresso dei giovani al mondo del lavoro? I sindacati che chiedono il blocco dell'adeguamento all'aspettativa di vita dovrebbero prima verificare questo dato".

 

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