Giudice Romandini resta nel comitato etico dell'Università D'Annunzio


Ma il Csm non ha ancora autorizzato l'incarico extra giudiziario.


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
05/06/2017 alle ore 17:03



Trasferito da pochissimo alla Corte d’Appello di Roma. Confermato da qualche mese al Comitato etico dell’Università d’Annunzio: il giudice Camillo Romandini sarà per altri tre anni presidente della struttura che si occupa di sperimentazioni cliniche per conto dell’Ateneo e delle Asl di Pescara e Chieti. Un incarico assunto nell’ottobre 2013 con l’autorizzazione del Csm, com’è prassi. Lo stesso Csm nel mese di dicembre del 2015 ha preso atto della scadenza dell’incarico ma non ha mai ricevuto alcuna richiesta di rinnovo in occasione della nuova investitura (periodo 2017-2020). Niente di niente. Una procedura anomala, visto che il Csm deve autorizzare ogni incarico extra dei giudici. Anche questo caso potrebbe dar luogo a una nuova violazione disciplinare.

Il Comitato etico, che è un organismo indipendente nell’ambito dell’Università, ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti sottoposti a sperimentazione di farmaci o di nuove modalità chirurgiche, e di fornire pubblica garanzia di tale tutela.
Qualche giorno fa Romandini è stato trasferito in Corte d’Appello a Roma: il Csm ha accolto la sua richiesta, all’esito di un concorso pubblico, che neutralizza l’esito del processo disciplinare la cui istruttoria è ancora in corso, nel caso di una sanzione massima che potrebbe essere, in via ipotetica, il trasferimento coatto. Ma il processo disciplinare continuerà con i tempi e i modi che valuterà il procuratore generale della Cassazione: il Csm, solo dopo che il pg avrà eventualmente promosso l’azione disciplinare, potrà celebrare il processo. Ufficialmente quindi il trasferimento non incide in alcun modo sul procedimento, anche se gioca d’anticipo su uno dei suoi possibili esiti.

Come si ricorderà, Romandini nel dicembre del 2014 ha assolto gli imputati del processo di Bussi ed è finito nel mirino per le presunte pressioni esercitate sui giudici popolari.
E in particolare l’azione disciplinare era stata avviata con l’accusa di aver violato gli obblighi imposti ai giudici, anche se la procura di Campobasso -che doveva indagare su cosa effettivamente fosse successo- aveva archiviato il caso. Nessun illecito.
Ma in Parlamento, grazie a una interrogazione firmata da alcuni deputati tra cuiAntonio Castricone (Pd)  e Andrea Colletti (M5s),  basata sulle rivelazione che il Fatto Quotidiano pubblicò a maggio 2015, venne alla luce che secondo alcune dichiarazioni dei giudici popolari, il giudice avrebbe esercitato pressioni per orientare l’esito della sentenza contro i dirigenti Montedison, accusati di avvelenamento delle acque e disastro ambientale, verso assoluzioni e prescrizioni.

Dalla inchiesta del Fatto quotidiano era emerso che l’esito della sentenza era noto almeno un mese prima e di sicuro era a conoscenza dell’attuale presidente della Regione, Luciano D’Alfonso,  che poi l’avrebbe riferita a molti altri esponenti delle istituzioni.
L’esito della sentenza di Bussi è stato poi ribaltato in Corte d’Assise di Appello. In seguito agli articoli dei giornali fu aperta una inchiesta presso la procura di Campobasso che volle ascoltare i protagonisti della vicenda, tra i quali i pm del maxiprocesso, Anna Rita Mantini e Giuseppe Bellelli, oltre a vari esponenti politici indicati da testimoni e dagli stessi giudici popolari. Quelle indagini, però, sono state archiviate a gennaio 2016 facendo calare il silenzio su tutta la vicenda.
Il ministro ha poi comunque avviato un’azione disciplinare. L’istruttoria sarà chiusa a breve.

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