Natale: l'alibi perfetto




Categoria: Editoriale
24/12/2025 alle ore 09:21




Ma ora è Natale.

E questa frase, detta con una certa solennità, sembra avere poteri immediati.

Come se il calendario fosse diventato un passpartout morale.

Copre nefandezze, assolve dissapori, lucida incompatibilità che durante l'anno sarebbero evidenti anche senza controluce.

E Natale, quindi va bene tutto.

Va bene non parlarsi da mesi e poi scrivere "auguri".

Va bene sorridere a chi non si sopporta.

Va bene sedersi a tavola con persone che, a febbraio, eviteresti anche cambiando marciapiede.

Il Natale non risolve.

Decora.

Con grande impegno scenografico.

I parenti lo sanno benissimo.

Arrivano con dolci fatti in casa e domande-trappola confezionate con cura:

"Ma sei felice?"

"Lavori ancora tanto?"

"Non ti vediamo mai."

Non vogliono sapere.

Vogliono collocarti.

Capire se sei sistemata, in ritardo o semplicemente utile come termine di paragone.

Poi brindano.

Perché il brindisi lava tutto.

Anche il giudizio, soprattutto se servito con voce affettuosa.

A Pescara, sotto Natale, tutto questo ha una scenografia precisa: aria tagliente, mare scuro, luci sul lungomare che fingono allegria.

E persone che non si sentono da mesi che improvvisamente scrivono.

Nei gruppi WhatsApp il miracolo natalizio è immediato.

Undici mesi di silenzio assoluto.

Poi, all'improvviso, una pioggia di messaggi.
 

Auguriii

Buone feste  


Entusiasmo improvviso, frasi brevi, emoticon in libera uscita.

Nessuna domanda vera.

Nessuna proposta concreta.

Ma guai a non rispondere: sembri subito fredda, distante, “particolare”.

Il gruppo serve a questo:

a segnalare la presenza, non a creare un rapporto.

Un colpo di tosse digitale per dire “io ci sono”, e poi di nuovo il buio fino all’anno successivo.

 

Le coppie ufficiali, intanto, entrano in modalità esposizione 

Foto curate, sorrisi sincronizzati, brindisi strategici.

Sotto le lucine tutto sembra funzionare.

Dal vivo, però, parlano solo del menù, del traffico, del dolce.

I silenzi sono lunghi, ma educati.

Il Natale le protegge: sotto le decorazioni nessuno osa chiedere “ma voi due, come state davvero?”.

 

E poi ci sono loro.

Gli amanti natalizi.

A dicembre diventano prudenti, rallentati, improvvisamente profondi.

Si tengono in equilibrio, senza prendere posizione.

Registrano vocali.

A volte dal bagno di casa altrui.

Porta chiusa.

Luce fredda.

Acqua che scorre, perché non si sa mai: meglio coprire anche l’indecisione.

Sussurrano davanti allo specchio,

con quel tono basso che vorrebbe sembrare intimo e invece è solo molto pratico.

“Volevo solo farti gli auguri…”

“Questo periodo mi fa pensare…”

“Non potevo non scriverti…”

Poi inviano.

Chiudono l’acqua.

Si sistemano il colletto.

Hanno appena depositato un carico emotivo nella vita di qualcuno — una frase ambigua, un augurio sospeso, una promessa che non promette — e tornano a tavola a mangiare il panettone, sereni, leggeri, assolti.

Qualcun altro, altrove, dovrà digerire il messaggio.

Loro no.

Hanno già il dessert.

Altre volte il vocale parte al gelo, mentre portano il cane a spasso sul lungomare di Pescara.

Fiato che fuma, guinzaglio teso, mare nero.

Il cane fa il suo dovere.

Loro anche.

Stesso copione.

Stesse frasi.

Stessa assenza, solo con vista mare.

Il Natale permette tutto questo.

Rende elegante l’ambiguità.

Rende poetica l’assenza.

Rende socialmente accettabile ciò che durante l’anno chiameremmo semplicemente per nome.

 

È un grande condono emotivo.

Temporaneo.

Ben illuminato.

 

Poi le feste finiscono.

Le luci si spengono.

I gruppi tornano muti.

I bagni tornano bagni.

I cani tornano a essere portati fuori senza messaggi da registrare.

 

E restano i rapporti veri, senza decorazioni e senza acqua che scorre a coprire la voce.

 

Gli stessi di prima.

Solo con meno alibi.

 

Pussy Galore