Decisioni e obiettivi parzialmente raggiunti dopo aver portato i colloqui sull'orlo del collasso nell'ultima COP 29, la Conferenza mondiale sul clima organizzata nell'ambito della Convenzione quadro dell'Onu sui cambiamenti climatici.
L'ultimo testo prima della firma portava aiuti di 250 miliardi di dollari di aiuti dai Paesi sviluppati verso le economie emergenti, ma alcuni Paesi insulari si erano ritirati in quanto i fondi risultavano inferiori rispetto alle richieste inoltrate da tempo.
La politica ha rischiato di arenarsi proprio al termine dell'anno più caldo mai esistito (superando il record del 2023) nonché nell'anno della più alta concentrazione di CO2 nell'atmosfera: l'assemblea plenaria era l'occasione annuale per catalizzare gli impegni da parte di Istituzioni ed Enti al fine di stabilizzare il sistema climatico ed allineare gli sforzi tra economie che si collocano su
vari stadi di sviluppo.
Obiettivo principale della Cop 29 del 2024 era infatti quello di attivare strumenti finanziari da parte dei Paesi più sviluppati, anche con soluzioni innovative (nuovi finanziamenti e partneship tra pubblico e privato, nuovi meccanismi di "credito verde") al fine di favorire la trasformazione energetica dei Paesi emergenti (i meno coinvolti nelle politiche industriali) in modo da poter compiere una transizione verde verso lo sviluppo economico, abbandonando le energie fossili e affrontando le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Temi urgenti, amplificati dalla fragilità che si riscontra quotidianamente con il susseguirsi di eventi metereologici estremi, sempre più frequenti e devastanti.
Due le parti fondamentalmente contrapposte:
La storia
Negli accordi di Parigi del 2009, i Paesi ricchi si erano impegnati a stanziare 100 miliardi di dollari all'anno, sino al 2020, per sostenere le iniziative per la riduzione delle emissioni (la cosiddetta "mitigazione") e i progetti di adattamento climatico per la transizione dei Paesi in via di sviluppo.
L'ulteriore accordo di Parigi del 2015 aveva esteso sino al 2025 il finanziamento dei 100 miliardi di dollari annui: il gruppo dei Paesi richiedenti ha da sempre portato le sue richieste intorno ai
1300/1500 miliardi l'anno, visto che la cifra di 100 miliardi di dollari era stata fissata in maniera forfettaria e si è sempre dimostrata insufficiente per i loro fabbisogni.
I risultati della COP 29 di Baku hanno portato finanziamenti sino a 300 miliardi all'anno dal prossimo anno e sino al 2035: i
Paesi sviluppati non si sentono obbligati e hanno apertamente dichiarato che questi finanziamenti rappresentano soltanto una
forma di aluto.
Inoltre è stato approvato anche il "mercato internazionale del carbonio" grazie al quale ogni Paese potrà investire in progetti di de carbonizzazione siti al di fuori del proprio territorio nazionale (in primis progetti di riforestazione): il conteggio delle emissioni che risultano dal progetto esterno verrà contabilizzato come taglio delle proprie emissioni.
Il testo finale contiene comunque l'invito a raggiungere 1300 miliardi di finanziamenti annui entro il 2035 a favore dei Paesi in via di sviluppo.
I confronti e i punti di contrasto
La prima proposta di 250 miliardi di dollari all'anno è stata considerata insufficiente in virtù dell'inflazione e degli strumenti già attivi da parte delle Banche multilaterali di sviluppo.
I Paesi in via di sviluppo avevano anche chiesto, oltre a 1300 miliardi di dollari di finanziamenti annui, che una parte dei fondi fosse indirizzata a rimediare ai danni del cambiamento climatico, almeno quelli che hanno causato situazioni estreme e siccità. I Paesi più ricchi hanno ritenuto che i fondi per perdite e danni debbano essere gestiti in maniera separata. I fondi LOST AND DAMAGE, nati nel 2022 in uno degli incontri multilaterali, devono infatti essere ancora implementati.
Quindi non solo difficoltà sulle cifre ma anche su cosa questi fondi dovrebbero andare a coprire: divari significativi su cifre e contenuti che i negoziatori hanno cercato di colmare in ogni modo anche perché le Cop sul clima si basano su un approccio multilaterale, discutendo finché tutti sono d'accordo e se non si è d'accordo si continua a discutere. Questo l'approccio che ha slittato di due giorni la conclusione dei lavori.
Vi è stato inoltre contrasto su quali debbano essere i Paesi che nel 2025 devono finanziare gli accordi sul clima perché, rispetto ai primi accordi del 2009, molte economie sono passate da una fase di povertà ad una fase di sviluppo, in particolare la Cina, oggi primo Paese per emissioni di gas serra. Cina che parteciperà ai finanziamenti ma non avrà vincoli sulle emissioni.
I Paesi più ricchi hanno ritenuto che non si potessero fissare cifre senza stabilire prima chi debba contribuire e quali siano i criteri inderogabili su cui effettuare il calcolo della quota di partecipazione: il Pil, la responsabilità storica delle emissioni di gas serra, le emissioni pro capite e il reddito medio.
Altre discussioni hanno riguardato anche il formato di finanziamento, alternando la valutazione di donazioni a fondo perduto e prestiti con interessi
Sebbene varie siano state le iniziative di fondi pubblici e privati che sinora hanno partecipato attivamente a questa impegnativa sfida, la via più celere è apparsa a tutti quella di efficientare gli interventi da parte delle istituzioni già esistenti e strutturate, come la Banca Mondiale.
Progetti e programmi in corso
Nella Cop 28 dello scorso anno si era definita l'implementazione di Piani nazionali di adattamento, cosiddetti NDC, impegni e progetti che ciascun Paese assume per ridurre le proprie emissioni di gas serra contribuendo così a limitare l'aumento della temperatura globale: piani non vincolanti che indicano i programmi di Governo contro il cambiamento climatico con impegni che devono aumentare ogni 5 anni.
E' chiaro che ogni decisione di politica ambientale deve confrontarsi ogni volta con due valutazioni: i pesi e l'antieconomicità delle azioni necessarie.
Ogni Paese si scontra, inoltre, con uno "zoccolo" di emissioni difficilmente abbattibili (emissioni "hard to abate") per effetto di vincoli tecnologici, infrastrutturali, economici e comportamentali.
Anche per questo i tavoli di dialogo come la Cop 29 tra esperti di scienze sociali e naturali, rappresentanti delle imprese, del mondo accademico, della finanza, delle istituzioni in primis, il punto di partenza per innescare il necessario cambiamento culturale, fondamentale per un cambio di rotta operativo-politica.
I protagonisti
Molte invece sono state le assenze all'incontro in Azerbaijan: la Presidente dell'Unione Europea Von der Leyen, il Presidente Macron, molte istituzioni finanziarie bancarie.
Motivazioni politiche e geopolitiche non connesse strettamente al tema hanno pesato nel complessivo contesto di cooperazione, complici anche i recenti inasprimenti dei conflitti sia sul fronte medio orientale che in Ucraina.
L'elezione del Presidente degli Stati Uniti Trump, notoriamente favorevole alle industrie che utilizzano combustibili fossili e che ha manifestato più volte l'intenzione di cancellare l'Inflation Reduction Act (il programma americano che ha favorito 450 miliardi di investimenti privati nel settore energetico green statunitense) non ha favorito i colloqui e la cooperazione internazionale negli incontri.
Contemporaneamente alla conferenza sul clima è arrivata la sentenza che ha "graziato" la Shell idrocarburi che nel 2021 aveva ricevuto una condanna a dover ridurre le emissioni assolute di anidride carbonica prodotta dai suoi siti di produzione, del 45% entro il 2030: il Tribunale ha stabilito che solo la politica può imporre alle aziende di tagliare il gas serra, ed ha certificato che al momento non vi è neanche un sufficiente consenso tra i climatologi sulla percentuale specifica di riduzione delle emissioni a cui una singola azienda dovrebbe attenersi. Specificando che con la condanna di un'azienda non è detto che altre non subentrino nel commercio e quindi il taglio imposto sarebbe privo di effetti sull'ambiente, si è offerto un cartellino rosso al tema oggetto di discussione nella COP 29.
In conclusione, alla COP 29, una intesa stretta dopo due settimane di negoziati: un piccolo punto da cui ripartire.