Dieci giorni fa chi aveva a cuore la Giustizia, come principio e come istituzione aveva tirato un sospiro di sollievo perché il Ministro della Giustizia, nonostante gli ostacoli incontrati nella scrittura e nell’approvazione del disegno di legge che adesso porta il proprio nome, è riuscito ad abolire l’abuso d’ufficio, a limitare la divulgazione delle intercettazioni telefoniche prive di contenuto ai fini processuali e a modificare la disciplina della custodia cautelare in carcere; ma ci tornerò nei prossimi giorni.
Ad oggi la norma non è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale ma abbiamo fiducia nel tempo.
Oggi invece è un giorno di segno non opposto ma di sconfitta della Politica, schiacciata da un’ordinanza di arresti domiciliari alla quale se n’è aggiunta una ulteriore per il reato di finanziamento illecito ai partiti e che ha ristretto la libertà di un Presidente di Giunta. Qualcuno obietterà: perché i politici non sono uguali di fronte alla Legge? Certamente lo sono! Proprio per quello occorre sforzarsi di comprendere come sia stato costretto a dimettersi per ritrovare la libertà – in attesa dell’inizio e della conclusione del processo – in questa fase di indagini, dove quindi non ci sono prove ma teorie dell’accusa, quella rappresentata dal pubblico ministero, che poi dovrà superare il dibattimento, dove la prova viene “assunta. Ma non siete arrivati sin qui per leggere un riassunto di diritto processuale penale anche se qualche puntualizzazione è necessaria.
Volete leggere perché io sostenga quanto di più lontano dal diritto sia accaduto.
Solo tre giorni fa Carlo Nordio e non certo un pericolo sovversivo ha pronunciato queste parole: «Stiamo seguendo una situazione che ha molte anomalie, con estrema attenzione e alla fine valuteremo quello che dovrà essere fatto» e rispondeva ai giornalisti che chiedevano se avesse intenzione di inviare ispettori ministeriali presso la Procura di Genova.
Un politico – scelto dalla maggioranza degli elettori – per amministrare una istituzione pubblica regionale, viene indagato per i reati di corruzione per l’esercizio della funzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio (artt. 318-319 c.p.) e viene posto agli arresti domiciliari.
La motivazione di tale misura coercitiva è stata motivata con «il pericolo attuale e concreto che l’indagato commetta altri gravi reati della stessa specie di quelli per cui si procede e, in particolare, che possa reiterare, in occasione delle prossime elezioni, analoghe condotte corruttive, mettendo la propria funzione al servizio di interessi privati in cambio di utilità per sé o per altri» scrive sempre il gip per il quale «tali esigenze cautelari sono desumibili, essenzialmente, dalle modalità stesse della condotta dalle quali traspare una evidente sistematicità del meccanismo corruttivo».
Ma Giovanni Toti non avrebbe comunque potuto ricandidarsi in quanto al secondo mandato, non consentendo la legge il terzo mandato.
Ricordo che gli arresti domiciliari e la custodia cautelare in carcere non sono gli unici provvedimenti cautelari ma ve ne sono altri meno incisivi della sfera di libertà di un individuo come il divieto di dimora o l’obbligo di dimora.
Qualche motivo per dubitare della bontà di una scelta così forte viene anche riflettendo sui tempi di questa vicenda. Quasi tutti gli episodi corruttivi sono riferibili al biennio 2020-2022 e uno solo nei primi mesi del 2023; a Giovanni Toti vengono contestati i fatti in relazione alle elezioni regionali del 2020.
Il pubblico ministero ha chiesto l’arresto degli imputati a dicembre 2023 ed eseguito il 7 maggio 2024.
Tutto normale? Io qualche dubbio ce l’ho.
Neanche il Prof. Sabino Cassese, con un parere fornito ai legali dell’ex Presidente della Giunta – e che invito a leggere qui per allontanarsi almeno per un po’ dal pensiero unico della Procura - è riuscito a far cambiare idea al Tribunale del Riesame perché l’indagato “ha dimostrato di non aver compreso appieno la natura delle accuse”. Evidentemente anche da innocenti occorre comprendere le accuse ricevute e chissà se anche convincersi di aver commesso determinati fatti, così sono tutti più contenti.
Adesso l’indagato ha fatto un passo indietro, forse consapevole del fatto che i partiti, in uno stato di subordinazione rispetto al potere giudiziario, senza scelte riformatrici e senza leader coraggiosi, non possono fare altro che eseguire una ritirata, perché oggi è stato il turno di Toti ma domani chissà.