Le scelte del Governo Meloni tra numeri, Banca Centrale e Unione Europea




Categoria: ITALIA
09/10/2022 alle ore 13:25



Giorgia Meloni ha la possibilità di non gettare alle ortiche quanto di positivo fatto dal Governo Draghi: dal percorso di riduzione del debito all’affidabilità riconosciuta sui mercati, potrà scegliere di essere molto cauta nell’attraversare l’attuale congiuntura economica.

Pil destinato a crescere solo dello 0,6% nel 2023 dalle previsioni del Governo nella Nota di aggiornamento al Def, e un deficit in discesa dal 5,1% nel 2022 al 3,4% nel 2023, sono frutto di un percorso virtuoso che non deve assolutamente arrestarsi.

Nelle misure economiche da adottare entro novembre, data concessa eccezionalmente dalla Commissione Europea per la presentazione del programma economico del nuovo esecutivo, dovrà tener conto degli scenari di recessione previsti anche dalle organizzazioni internazionali, fornendo sostegno alle imprese nel delicato capitolo degli acquisti per l’energia (crediti di imposta, iva ridotta sul gas, la riduzione degli oneri di sistema) ma anche a cittadini e famiglie (indicizzando le pensioni, rinnovando alcuni contratti del pubblico impiego, tagliando il cuneo fiscale) senza passare per ulteriori aumenti del deficit e cercando, con l’affidabilità, di contenere i costi del debito pubblico, destinati a salire in virtù dell’annunciata stretta di politica monetaria da parte della Banca Centrale Europea.

Dovrà garantirsi l’arrivo delle prossime tranches del Recovery Fund (oltre 150 miliardi da spendere entro i prossimi 3 anni) pur con le eventuali correzioni annunciate al Piano nazionale di ripresa e resilienza annunciate durante la campagna elettorale, senza dimenticare che dal 2024 rientrerà in vigore il Patto di Stabilita e crescita, modificato sulla base degli accordi che saranno presi in seno alla Commissione Europea.

Il piano nazionale di ripresa e resilienza in realtà affronta tutti i punti che hanno causato la perdita di competitività del Paese negli ultimi 20 anni, e non agganciarne la correzione in maniera dialogante con la Commissione, rappresenterebbe una grave sconfitta per l’Italia.

Nello sfondo dell’azione di Governo la direzione impressa dalla Banca Centrale Europea alla politica monetaria per contrastare un’inflazione in pieno svolgimento che, fortunatamente, non ha ancora attivato la spirale prezzi-salari-prezzi: l’uscita dalla pandemia e la guerra in Ucraina, i colli di bottiglia ancora presenti nelle politiche di approvvigionamento per alcuni settori di produzione oltre alla cifra esorbitante di liquidità immessa negli ultimi anni, comportano un’attenta analisi e grande prudenza da parte dell’Istituto centrale dei principali dati su prezzi, tasso di crescita, fiducia di imprese e famiglie, politiche fiscali nella frammentata diversità dei vari territori.

La Bce dovrà procedere in maniera flessibile aprendo le porte a più opzioni di azione con due obiettivi in antitesi tra di loro: non mandare fuori controllo l’inflazione (non reinvestendo i titoli che ha già acquistato alla scadenza e aumentando i tassi di interesse) e contemporaneamente non produrre recessione (aumentando i tassi di interesse a tutto svantaggio di cittadini ed imprese).

Due sono i rischi: che si sbagli la tempistica di intervento nella valutazione dell’andamento dell’inflazione (troppo tardi, facendo entrare l’economia in un territorio inflazionistico rischioso) oppure che si sbagli l’intervento sui tassi di interesse danneggiando l’economia (troppo presto, creando i presupposti per una vera recessione).

L’Unione Europea potrebbe avere un ruolo fondamentale predisponendo uno strumento adeguato a sostenere utili delle imprese e salari dei lavoratori così come è stato nei vari piani aperti a seguito della pandemia.

Un sogno non tanto irrealizzabile se ad alimentarlo è un Governo che saprà distinguersi positivamente nelle sue scelte.