La guerra dagli occhi di chi l'ha vissuta in prima persona, la disumanità che avrebbe portato a Caporetto.
La Grande Guerra si palesò sotto vesti che nessuno avrebbe mai potuto immaginare; le scarse condizioni igieniche e le mancanze di approvvigionamenti, unite alle rigide direttive di guerra dei generali al fronte provocarono il crollo morale e fisico dei combattenti.
AMMUTINAMNETI E PROTESTE, IL REGIME DI TRINCEA
Verso l'ultimo biennio della guerra, sul fronte italiano iniziarono a scarseggiare gli approvvigionamenti, sia bellici che alimentari, portando i soldati in trincea allo stremo. Per sedare le prime diserzioni, i generali decisero di apportare un regime più duro, fucilando coloro che si ribellavano agl'ordini. La drammatica severità di questi ordini provenne dalla naturale diffidenza, che la classe dirigente aveva verso quella popolare. Convinti che senza un forte sentimento patriottico, la massima severità era l'unico modo per far recepire alle truppe gl'ordini. Nonostante la rigidità sul fronte, questo non interruppe casi di ammutinamenti e proteste. Infatti data la costante renitenza dei soldati italiani, ad oggi si può notare tramite lo studio di dati, che in Italia furono poi decretati ben 15.345 ergastoli, di cui ben 15.096 diserzioni. Questo lascia evincere come un regime più duro non portò a una situazione stabile, bensì la fece crollare su sé stessa.
GLI OCCHI DELLA GUERRA DI EMILIO LUSSU
Emilio Lussu (Armungia, Cagliari 1890 - Roma 1975) combatté durante la Grande Guerra, come ufficiale di fanteria della Brigata Sassari. Fondatore del Partito Sardo d'Azione (1919), divenne deputato dal 1921 al 1924. Antifascista convinto nel 1929 fuggì da Lipari, fondando in seguito a Parigi il movimento Giustizia e Libertà insieme a Carlo Rosselli e Fausto Nitti.
Lussu nel suo libro, "Un anno sull'Altipiano", narra della sua esperienza dal maggio del 1916 al luglio del 1917, ben 14 mesi passati sull'Altipiano dell'Asiago. Non usa molte perifrasi e arriva molte volte schietto al punto. Dal suo romanzo, definibile come una vera e propria testimonianza storiografica degli avvenimenti, quello che fuoriesce nella maggior parte dei casi era la pessima capacità della classe dirigete di affrontare il nemico. Non solo a causa di mancanza di lungimiranza nelle decisioni, ma anche dato il loro modo di agire studiato per le guerre di movimento degl'anni passati. Lussu si focalizza principalmente sull'incompetenza del generale Leone, arrivato nel battaglione circa a metà dell'arruolamento del narratore. Spietato e non curante delle condizioni dei soldati, il generale ordinava minimo due-tre assalti alla trincea nemica a settimana, decimando i suoi stessi combattenti, che cadevano come foglie d'autunno sulla terra di nessuno sotto i colpi delle mitragliatrici austriache. Non tollerava diserzioni, tanto che era risaputa la sua facilità a ordinare fucilazioni; il suo atteggiamento portò ad un ammutinamento di massa. Lussu ci permette di preparaci a comprendere, quello che sarebbe accaduto di lì a poco a Caporetto.
CAPORETTO, L'APOTEOSI DELL'INCOMPETENZA DELLA CLASSE DIRIGENTE
L'Italia, dopo essere riuscita faticosamente ad avanzare nell'arco di 2 anni verso Caporetto (attualmente in Slovenia), tra il 24 ottobre e il 19 novembre 1917 subì una grave sconfitta, durante la dodicesima battaglia dell'Isonzo. Conosciuta come disfatta di Caporetto, costò all'Italia oltre che alle perdite di tutte le conquiste fino ad all'ora, anche ben 10km quadri di territorio nazionale; portando quasi alla scomparsa del sogno irredentista. Nel giro di pochi giorni caddero ben 300.000 soldati nelle mani nemiche, data l'esagerata potenza dell'attacco austriaco e la mancanza di efficaci direttive difensive. La prima armata a cadere fu la 2°, comandata dal capo di Stato maggiore Luigi Cadorna. La sua severità in trincea fu tale da portare ad un ammutinamento di massa, a causa dello stremo sia fisico che morale dei combattenti. Cadorna in un bollettino di guerra del 27 ottobre 1917, accusò l'esercito della sconfitta: "Esercito non cade vinto da nemico esterno, ma da quello interno"; con tali accuse il capo di Stato maggiore spiegava la sconfitta appena subita. Tutto questo per mascherare la sua incompetenza, successivamente messa in luce dai suoi superiori, che insegnarono Armando Diaz del titolo di capo di Stato maggiore. In questo modo in trincea ci fu più empatia da pare della dirigenza verso i combattenti, che sentendosi tutelati, ripresero a combattere sotto altro spirito.