I protagonisti sono i soliti due dell'ultimo mese: un Conte a cui sta ormai stretto il posto da ultimo del gruppo perché manca sintonia con l'altro, Draghi, che ormai sembra esser diventato leader del polo centrista.
Dopo che il Presidente del Consiglio ha deciso di rimodulare in continuazione il bonus del 110% - creando non pochi problemi a piccole e medie imprese oltre che ai progettisti e gran parte del mondo edile (nonostante un aumento del PIL sopra le aspettative) - Conte ha iniziato a pretendere, partendo anche dalla questione armamento per l'Ucraina, ottenendo però sempre meno. Ma tutto ha un limite e ora il leader del M5S lo ha percepito, così ha voluto lanciare un messaggio: tutti assenti i pentastellati al voto di fiducia posto sul "dl aiuti".
Un voto a favore sarebbe significato prostrarsi ai piedi di Draghi dopo non esser stati ascoltati per l'ennesima volta anche su questo dl e un voto contrario avrebbe sancito una rottura. Così alla Camera votano sì alla fiducia, ma no alla legge di conversione di quel decreto; al Senato escono dall’aula. Innescando in questo modo una crisi. O quasi. Perché, invece di sanare un rapporto crepatosi, specie dopo le affermazioni di Draghi nei confronti di Conte - anche se poi smentite - durante l'incontro con Grillo di qualche settimana fa, il Presidente del Consiglio di ha deciso direttamente di "sfiduciarsi" da solo, dimettendosi. Una mossa che ha prima allertato il capogruppo pentastellato alla Camera Crippa, il quale ha convocato una riunione dei suoi deputati, in cui i tre ministri hanno dichiarato di non voler creare una crisi e di non volersi dimettere, ma ha messo soprattutto in difficoltà il Presidente Mattarella, perché al conteggio finale i numeri della fiducia risultano esserci anche con un ipotetico M5S a sfavore, così il Presidente della Repubblica ha deciso di dare un altro segnale: niente dimissioni per Draghi e vediamo cosa dice il Parlamento.
A questo punto ci si chiede come mai Draghi abbia deciso ti tagliare la corda di netto, perché, alla presenza dei numeri per andare avanti, questa mossa sembra una sorta di scaricabarile delle colpe su Conte e il suo partito.
È vero, col senno di poi è facile parlare, però forse le sanzioni alla Russia e l'armamento all'Ucraina, senza mai riuscire a risolvere una guerra che dura da mesi ormai, non sembrano esser state la scelta migliore e qualcuno lo diceva già dall'inizio.
Ora ci troviamo con prezzi di gas ed energia alle stelle, con l'ulteriore rischio di spingere la Nazione in direzione opposta alla transizione energetica, ma soprattutto con l'euro svalutato praticamente ai minimi storici da quando è stato messo in mercato, con un confronto parimerito col dollaro.
E qui sorgono altre domande, perché gli accordi dell'Alleanza Atlantica sono stati gestiti prevalentemente con gli Stati Uniti e ora, però, l'euro vale quanto il dollaro, nonostante allo scoppio dell'invasione russa il rapporto era di 1,13$/1€.
Forse la cosa che più fa storcere il naso è l'ennesima scelta di fare della politica una tifoseria, ma qui non parliamo di una partita di calcio, o meglio di basket, dove o si vince o si perde e l'altro è un avversario. La politica è altro e quando i politici generalizzano significa che i dettagli sono tanti e complessi da analizzare.