Uno strappo. Improvviso. Forse nemmeno troppo improvviso visto come Conte ha nominato poche settimane fa i referenti locali e, guarda caso, nessuno di loro è andato via con Luigi Di Maio.
62 tra deputati (51) e senatori (11) sono usciti dal gruppo del Movimento 5 Stelle e hanno creato la nuova compagine targata Di Maio-Spadafora, con l'aiuto di Tabacci al Senato, ritrovando forse anche altri dissidenti dei pentastellati.
Un M5S che già da tempo era in perdita di consensi, probabilmente proprio per via dell'istituzionalismo ostinato di cui ormai si vantava, nonostante lo stesso Conte abbia sempre cercato di mettere i suoi puntini sulle "i", andando, non troppo di rado, contro Di Maio (forse poco gli importava) e le forze del governo Draghi.
Eppure sembrerebbe che i cittadini abbiano gradito questa mossa di Di Maio, ma non come lui si aspettava: il M5S in pochi giorni è passato da una media di 10 iscritti al giorno a quella di 100 ogni dì. Forse un apprezzamento ad un gruppo che, senza Di Maio, potrebbe tornare quello battagliero di una volta con in più solo una punta di istituzionalismo. Anche se rimane lo stesso Movimento che negli ultimi anni ha messo alla porta diversi parlamentari per i motivi più disparati: dalle percentuali di stipendio non versate alle affermazioni "non proprio pro-Ucraina".
Un Movimento che sembra aver perso una delle sue indoli identitarie: la libertà di essere diversi, ma comunque di credere insieme in una stessa rivoluzione. Forse qualcosa di semplicemente impossibile, anche se alcuni dei loro programmi fondanti è stato mandato in porto. Forse una utopia, a cui, per iniziare, loro stessi potrebbero credere un po' di più. Un "essere diversi con lo stesso obiettivo" che era un po' il vero significato del "uno vale uno", storpiato, forse indegnamente e populisticamente, dal Di Maio di qualche sera fa.
Sta di fatto che ora il futuro del Movimento 5 Stelle è tutto da scrivere e le prossime pagine di questo libro ci diranno se Conte è un vero pentastellato oppure un avvocato del popolo prestato ad un partito in cerca di credibilità istituzionale. Una rivelazione molto attesa, soprattutto dopo il confronto tra Draghi e Grillo, il quale sembrava aver sancito una rottura tra i pentastellati e il Governo, per poi rimangiarsi tutto o, meglio, "chiarirsi".
Ora Conte può scegliere se portare i 5 Stelle ad essere di nuovo condottieri rivoluzionari (forse un po' meno populisti), con l'eventualità di portare sotto braccio con sé il verista Alessandro Di Battista, oppure se farli rimanere succubi di un sistema che li sta smembrando nei valori e negli intenti, relegandoli costantemente al banco degli imputati.
La curiosità più che altro si fa viva sui motivi di questa spaccatura. Ciò che più è saltato a questi occhi è come, nonostante una conferenza stampa di così grande impatto, Luigi Di Maio non pubblichi nulla sui suoi canali social dal 13 Giugno. Ben 17 giorni di silenzio che sanno quasi di consapevolezza nell'aver azzardato tanto, probabilmente troppo. A fronte di un grandissimo consenso riscontrato in questo periodo sia da Conte che da Di Battista (quest'ultimo a tratti più del primo), il Ministro Di Maio avrà avuto paura di essere fortemente criticato o, peggio ancora, non apprezzato? I numeri sono importanti, perché 51 deputati e 11 senatori denotano una certa forza in parlamento, ma chissà se la stessa forza sarà poi riconfermata alle urne tra circa otto mesi.
Sta di fatto che questo silenzio misterioso lascia spazio a pensieri di vario genere, ma ci sono un paio di domande che di più girano nella testa: forse sapeva che questa mossa non sarebbe piaciuta ai suoi e quindi ora si sta organizzando per qualcosa che possa catturare l'attenzione di nuovi elettori per lui e per i suoi? E se questo qualcosa fosse fatto insieme a Renzi e Calenda... dobbiamo aspettarci delle primarie del piccolo grande centro?
Probabilmente i tre ambasciatori di Draghi credono che il piccolo grande centro possa essere il vero avversario di questa ascesa Meloniana. Oppure un possibile alleato di tutti...