Il calo del rapporto debito pubblico/Pil, evidenziato dal Governatore della Banca d’Italia Visco alcuni giorni fa, rappresenta sicuramente un elemento positivo nel panorama della finanza pubblica italiana.
Il 3% in meno rispetto a quanto stimava la nota di aggiornamento al Def del mese di Ottobre e quasi il 10% in meno rispetto al Documento di economia e finanza di aprile 2021, hanno completamente fermato il potenziale effetto conosciuto come “palla di neve”, che si verifica quando la crescita nominale del Pil è inferiore alla crescita del costo dello stock del debito, nel qual caso il debito si amplia a dismisura.
Il risultato positivo del rapporto debito/Pil è dovuto ad un incremento del nostro prodotto interno lordo per il 2021, che ha riportato una crescita record in Unione Europea e che ci permetterà di essere, almeno per una volta, in testa alle classifiche.
Ma non ci sono né rose né fiori in questo scenario: il debito resta il mostro e l’incubo sulle spalle delle prossime generazioni.
Durante la pandemia le risorse a disposizione del Paese sono cresciute a dismisura in deficit, procurando quindi un maggior debito finale che è passato dal 134,6% del Pil nel 2019, al 156% raggiunto nel 2020, per proiettarsi a quota 150% per i risultati finali del 2021 anticipati dal Governatore Visco.
La politica fiscale e gli aiuti in deficit hanno sostanzialmente stabilizzato la nostra economia: se non ci fossero stati gli interventi, si sarebbero avute ripercussioni gravi come quelle che hanno dato origine alla crisi del 2010-2011.
Adesso però il Paese e la politica devono avere la consapevolezza di quelle che sono le questioni urgenti su cui lavorare.
-Oggi le imprese e i cittadini sono in difficoltà per l’aumento generalizzato dei prezzi, innescatosi sia per le difficoltà delle catene di approvvigionamento e della logistica, sia per i rincari di luce e gas che hanno la loro origine in tensioni geopolitiche mal gestite da tempo.
Le imprese non possono sempre trasferire i maggiori costi sui prezzi, le famiglie stanno perdendo il loro potere d’acquisto e, conseguentemente, la fiducia nel futuro: si rischia di innescare una spirale che si autoalimenta rallentando lo sviluppo economico che serve proprio a ridurre il famigerato rapporto debito/Pil.
I trasferimenti di risorse pubbliche ottenute a debito e destinate a coprire l’aumento dei costi energetici sono nient’altro che lo spostamento temporale di un problema che qualcuno in futuro dovrà affrontare.
-Vi è un elenco lunghissimo di riforme strutturali che ogni Paese, a partire dall’Italia, deve affrontare per poter ricevere i fondi del PNRR: notoriamente le riforme hanno dei costi nel breve termine e producono effetti benefici solo nel medio e lungo termine, ma alle riforme non potremo rinunciare se non vedendo chiudere i rubinetti dei finanziamenti. Né potremo ulteriormente indebitarci per far fronte ai loro costi iniziali.
-I progetti dei territori finanziati dal PNRR non dovrebbero essere frutto di scelte politiche a beneficio elettorale ma essere effettivamente diretti ad accrescere la produttività dell’area interessata, in un’ottica a medio e lungo termine. Non ci sarà spazio nelle risorse pubbliche per pensare a politiche di sviluppo che si approvvigionino a fondi diversi dal PNRR.
-Vi è incertezza sul futuro andamento dei tassi di interesse, che sono strettamente correlati all’inflazione in corso. Se la Banca centrale europea dovesse aumentare i tassi per contenere l’inflazione, riconoscendola come non più transitoria, anche sulla scia della decisione statunitense al fine di rendere appetibile l’investimento in titoli pubblici nei Paesi dell’Unione, imprese e famiglie si troverebbero a dover fronteggiare oneri di finanziamento dei prestiti impattanti sulle loro finanze, entrare in difficoltà e rallentare la ripresa economica in corso. Lo Stato non potrà indebitarsi per sostenere, come accaduto per la pandemia, imprese e famiglie in difficoltà finanziaria.
-Gli stessi istituti bancari potrebbero entrare in crisi con l’aumento dei tassi e dello spread sui titoli del debito pubblico: sia perché si ridurrebbe il valore reale dei titoli del debito pubblico nei loro portafogli d’investimento sia perché, a tassi più elevati, sarebbero minori i finanziamenti concessi a famiglie e imprese con la conseguente riduzione della redditività bancaria ed un irrigidimento delle operazioni di finanziamento.
-Peraltro, in caso di rientro della politica monetaria, lo stesso Stato vedrebbe aumentati i tassi, compromettendo l’attuale sostenibilità del debito pubblico che oggi è tale proprio per i tassi contenuti garantiti dalla Bce.
-L’Italia dovrà comunque fronteggiare un aumento di rischio legato alle prossime elezioni politiche che potrebbero consegnare al Paese nuove maggioranze e nuovi posizionamenti politici rispetto al progetto europeo. Aumentando i rischi, aumenterà lo spread ed aumenterà il debito.
-L’Unione europea ha la necessità di chiudere il periodo di deroga sulle norme del patto di stabilità e crescita, concesso ai Paesi per affrontare i primi anni della pandemia. E l’Italia deve preoccuparsi di quel momento.
Oggi è in ballo la riscrittura dei criteri di stabilità finanziaria dell’Unione europea, da sempre contestati dai Paesi più indebitati, oggetto di interpretazioni, estensioni, esenzioni da parte della Commissione europea in sede di valutazione annuale dei bilanci, e altresì sospesi dall’inizio della pandemia.
Italia e Francia (i due Paesi che hanno il peggior rapporto debito/Pil dell’Unione) hanno fatto un passo nella direzione di voler condurre la guida della revisione del Patto di stabilità e crescita: Draghi e Macron hanno scritto un editoriale sul Financial Times per trasmettere ai mercati il segnale che l’iniziativa sulle regole è sotto il loro monitoraggio.
Si tenterà di riscrivere le regole evitando di rimettere mano ai trattati, bypassando discussioni in virtù del fatto che il livello medio del rapporto debito/Pil dell’Unione europea è passato dalla soglia del 60% dei tempi della crisi finanziaria mondiale del 2009, al 100% attuale.
L’obiettivo sarà quello di arrivare, entro la fine del 2022, ad una normativa diversa ed in qualche modo migliore, atta ad autorizzare i Paesi al rientro del debito in maniera pressoché indolore dopo le “libertà” avute a motivo della pandemia: la deadline resta fissata al 2023, momento fissato per la sospensione in emergenza del Patto di stabilità e crescita.
Da quanto sopra è evidente che lo scenario del debito è sotto osservazione e sotto pressione oggi più che mai, soggetto ad effetti collaterali dei quali è difficile, ma non impossibile, immaginare le ricadute nella vita di cittadini ed imprese.
E’ auspicabile che vengano pensati e finanziati progetti del PNRR di qualità elevata, che aumentino la crescita ed accelerino la riduzione del rapporto debito/Pil.
Sarebbe altresì opportuno che si smettesse di continuare a finanziare spesa corrente non correlata alla crescita effettiva.
Diversamente si lascerà un danno immenso sulle spalle delle prossime generazioni, e non si potrà dire che non se ne aveva la consapevolezza.
I populisti di ogni provenienza sono avvisati.