Accoltellare alle spalle è diventato il suo forte. Che sia il migliore amico, il suo leader politico o gli ideali stessi del suo partito a lui non cambia. L'importante è che nessuno intralci la scalata sociale verso la vetta più alta della politica. No, non stiamo parlando di Matteo Renzi, di cui, dato il rapporto tra numero di querele contro i giornalisti e percentuale di voto, non vale la pena parlare. Il soggetto in questione è il suo alter ego pentastellato, quello che Craxi chiamerebbe il nuovo "Belzebù": Luigi Di Maio, che, non contento delle letali ferite inflitte al Movimento 5 stelle negli ultimi anni, continua la sua azione "killer" per un curriculum che nel mondo reale, fuori dal Palazzo, non avrebbe mai potuto vantare, se non con esperienza, studio e sacrificio.
Eletto nel 2013 con il Movimento 5 stelle, sale il primo scalino verso la "gloria politica" diventando il più giovane parlamentare a ricoprire la carica di Vicepresidente della Camera dei Deputati. Nel 2017 ottiene la leadership grillina con un plebiscito, ma non senza malumori interni. Roberto Fico, ai tempi considerato il "deputato ortodosso", infatti, si rifiuta di salire sul palco di Italia 5 stelle in segno di protesta. Diventato automaticamente il candidato premier alle elezioni del 2018, durante tutta la campagna elettorale non è altro che l'ombra del "duro e puro" Alessandro Di Battista. È quest'ultimo, infatti, a guidare i comizi nelle piazze gremite di tutta Italia. Di Maio interviene sempre dopo, quando l'amico ha già fatto salire l'adrenalina del pubblico, così da far digerire anche le dimaiane parole, imparate a memoria e prive di reale passione politica.
In soli sedici mesi di governo con la Lega, Di Maio, rimasto solo al timone, inizia a far affondare la nave grillina, portata precedentemente alla meta da Di Battista. A causa dell'amore per Salvini e per i due ministeri vende l'anima "dura e pura" del Movimento che, alle europee del 2019, scende al 17%. Nel gennaio del 2020 dà le dimissioni da capo politico. Durante il governo giallorosso, però, la sua scalata, nonostante qualche inciampo costato più al Movimento che a lui, prosegue così rapida da ottenere il Ministero degli Affari esteri, carica che mantiene nell'attuale governo Draghi, di cui è prode difensore e accanito sostenitore.
In questi anni ha dimostrato che la coerenza e il "pugno duro" non si addicono a uno come lui. Dopo le continue critiche sul suo curriculum da parte dei giornali, che lo chiamavano il "bibitaro", adesso sembra essere accecato, oltre che dal potere, dal consenso che sta riscuotendo tra quell'élite che una volta diceva di combattere. Da quello di Berlusconi che, come racconta nella sua autobiografia da trentenne, gli disse: "sei davvero bravo", a quello del direttore de La Stampa, Massimo Giannini, che gli ha dato "volentierissimo" atto della sua trasformazione politica, per lui positiva, con un gran "complimenti".
Arrivati a questa settimana, in cui il Parlamento si è riunito per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, si è compreso come anche la lealtà non gli si addice affatto. Se negli scorsi anni, infatti, il ministro ha accoltellato alle spalle prima gli ideali del suo Movimento, facendo dettare la linea a un alleato con la metà dei suoi parlamentari. Poi il suo amico di militanza, Di Battista, appoggiando il governo Draghi, dopo che si era promesso di non sostenere, portando avanti la sola possibilità del Conte Ter. Questa volta la vittima è stato l'ex premier e suo leader di partito, Giuseppe Conte.
Dopo che venerdì sera si era arrivati a un accordo sul nuovo presidente della Repubblica, grazie all'intesa tra Salvini e Conte sul nome di Elisabetta Belloni, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Il ministro ha sferrato il suo colpo. L'ormai noto tweet di Beppe Grillo, in cui veniva svelato il nome della candidata, ha attirato l'ira di Di Maio che ha ritenuto "indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni. Senza un accordo condiviso tra la maggioranza di governo". Questo il primo affondo palese, dopo i tanti sferrati di nascosto nel corso della settimana. Quando il leader aveva dato l'indicazione di votare scheda bianca, infatti, la corrente dimaiana aveva invece spinto verso il Mattarella bis, ipotesi che si è poi concretizzata. È emerso, dunque, come il ministro abbia giocato alle spalle di Conte, forte del gregge di suoi fedelissimi in Parlamento.
Benvenuta Signora Italia, ti aspettavamo da tempo. #ElisabettaBelloni
— Beppe Grillo (@beppe_grillo) January 28, 2022
La lama, però, è scesa in profondità nella serata di ieri, quando, lasciando Montecitorio, con il solito sorriso sornione, Di Maio ha rilasciato alcune dichiarazioni ai giornalisti: "Io non commento quello che sta accadendo nelle altre forze politiche, credo soltanto che anche nel M5s serva aprire una riflessione politica interna". Parole dure che sembrano voler mettere in discussione la leadership di Conte, e forse rimettere in campo la sua, cosa che, se dovesse trovare riscontro nella realtà, porterebbe all'emarginazione popolare del Movimento, già fortemente indebolito e che nella figura dell'ex premier ha la sua ultima possibilità per sopravvivere.
Non deve stupire, dunque, se nell'arco dei prossimi mesi le tensioni grilline dovessero acuirsi al punto tale da spingere Giuseppe Conte ad abbandonare il timone e il mondo della politica di cui, a differenza di Di Maio, non ha bisogno per sostentarsi, visto che fuori dal Palazzo una concreta vita lavorativa, che ha messo in stand by per il bene del Movimento, lui ce l'ha. E non deve stupire se tra quattordici anni, decretato l'assassinio del Movimento 5 stelle, il presidente della Camera dovesse pronunciare queste parole: "Proclamo eletto Presidente della Repubblica Luigi Di Maio, che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei componenti di assemblea". Perché in fondo in Italia la politica ci è sempre piaciuta così: trasformista, sleale e vigliacca. Una scatola vuota di fama machiavellica e cinica.