Rai: "Fuortes" lottizzazione



di Niccolò Monti
Categoria: ITALIA
21/11/2021 alle ore 11:01



Il Governo dei Migliori, tramite l'amministratore delegato Carlo Fuortes, rinuncia al motto "fuori i partiti dalla Rai" e passa al "fuori i 5 Stelle dalla Rai". Anche il servizio pubblico televisivo si prostra così alla magnificenza di Draghi, unendosi al gregge di fedeli di cui la grande stampa si fa "cane pastore" dal febbraio scorso. Palazzo Chigi, tramite una "Fuortes" operazione di lottizzazione, decide di escludere il partito di maggioranza relativa, il Movimento 5 Stelle, dalle nomine dei nuovi direttori dei telegiornali.

"Siamo alla degenerazione del sistema e per questo il M5S non farà più sentire la sua voce sui canali del servizio pubblico", questa la reazione del leader Giuseppe Conte. "Ci chiediamo che ruolo ha giocato il governo", aggiunge, rimarcando la distanza con il presidente del Consiglio, che tra le sue priorità non ha preso in considerazione quella di portare avanti una riforma della Rai.

Per mascherare questa nuova forma di lottizzazione, la stampa e l'opinione pubblica strumentalizzano temi caldi e concreti come la "meritocrazia" e il "gender-gap". La Stampa scrive, infatti, che a Viale Mazzini "vincono le donne" con Maggioni al Tg1, Sala al Tg3 e De Stefano a RaiSport, nominate da un Governo di quasi tutti uomini.

Ma è proprio la nomina di Monica Maggioni a far discutere. Il suo nome compare nelle carte dell'inchiesta Open, che vede coinvolto l'ex premier Matteo Renzi, perché si sarebbe proposta al presidente della fondazione per una guida in Rai. La Maggioni si è rivelata una giornalista per tutte le stagioni. Noti i suoi rapporti con il dem Paolo Gentiloni, con il sottosegretario a Palazzo Chigi Roberto Garofoli e il capo di gabinetto Antonio Funiciello, ha ottenuto incarichi con governi di ogni schieramento. Nel 2015, nominata presidente della Rai, ha avallato una serie di epurazioni di "bulgara" memoria: Massimo Giannini a Ballarò, Bianca Berlinguer al Tg3, e Nicola Porro a Virus.

L'altra discutibile nomina è quella di Mario Orfeo alla direzione degli Approfondimenti. Citato anche lui nelle carte dell'inchiesta Open, è l'unico giornalista ad aver diretto tutti e tre i tg. Nel 2016 ha gestito il Tg1 nei mesi del referendum costituzionale in cui, secondo i dati Agcom, sono stati concessi tempi di informazione maggiori a favore del Sì. Diventato direttore generale della Rai nel 2017, Orfeo ha condotto gli addii di alcuni dei volti più noti, ma ritenuti di intralcio al Partito Democratico, come Milena Gabanelli e Massimo Giletti. 

Molto vicina ai tempi delle epurazioni berlusconiane, la loro Rai non ha di certo brillato per libertà di stampa, pluralismo e meritocrazia.

A rendere le nomine ancora più opinabili è la mancanza di criteri meritocratici. La Maggioni subentra al posto di Giuseppe Carboni, voluto dai 5 stelle, che ha portato il Tg1 della sera dal 22,8% di share al 24,4%. Mentre al Tg2 resta Gennaro Sangiuliano, in quota Lega, sotto la cui direzione gli ascolti sono diminuiti. Tutto questo conferma come la Rai non sia un'azienda normale e come il criterio di scelta non sia pubblico ma partitico.

È bene ricordare come in Parlamento siano fermi otto disegni di legge per riformare il servizio pubblico. Da quello del pentastellato Primo Di Nicola, con cui sarebbe l'Agcom a scegliere, tramite sorteggio, i 5 membri del Consiglio di amministrazione tra i curriculum divisi per competenza. A quello della dem Valeria Fedeli che prevede una Rai gestita da una fondazione e con un Cda composto da 10 membri eletti dalla Vigilanza, dalla conferenza Stato-Regioni, dalla conferenza dei rettori universitari e dai dipendenti Rai. Da quelle di Italia Viva e Leu, fino a quelle di Lega e Forza Italia. Essendo una riforma di sistema è necessaria una sintesi tra le diverse iniziative in campo. E chi più dell'osannato premier Draghi, viste le sue capacità di mediazione, potrebbe condurre tale trattativa?

Non sembra essere, però, questo l'obiettivo del presidente del Consiglio che sta sfruttando l'attuale riforma della Rai per ridurre al minimo le possibili voci di opposizione al suo "provvidenziale" mandato. Ci sono così tante professioniste nel campo del giornalismo, che il Governo avrebbe potuto coniugare facilmente i criteri di pluralismo, indipendenza e meritocrazia con la battaglia per la parità di genere, nominando altre donne al posto della Maggioni, di cui è nota la vicinanza agli interessi di una certa politica. Non sarebbe stato più nobile e credibile ricompensare due professioniste, "vittime" delle epurazioni renziane, come Bianca Berlinguer al Tg1 e Milena Gabanelli agli Approfondimenti, invece di promuovere i loro due epuratori?

Il Governo Draghi, sotto l'egida della grande stampa nazionale, perde l'ennesima occasione per distinguersi dal passato. E conferma di essere il governo della Restaurazione - questa volta, però, degli anni più bui della storia dei media in Italia, quelli dell'editto bulgaro.