Riceviamo e pubblichiamo la posizione del Collettivo femminista Malelingue di Teramo sul ‘caso Ciarrocchi’
“Come in tante altre città italiane, succede anche a Teramo che una donna trovi il coraggio di denunciare un uomo per violenza sessuale. In questo caso, si tratta di un noto ginecologo ed anche assessore, al quale è stato notificato l’arresto domiciliare. La notizia rimbalza sui vari giornali locali e si scatena un vero e proprio processo alla vittima, come accade nei soliti scenari che si ripetono ad ogni episodio di violenza. Attraverso i social, la città si scaglia contro colei che ha avuto la forza di rompere il silenzio, minandone la credibilità e colpevolizzandola in un ignobile linciaggio mediatico. Con il presunto aggressore, invece, si empatizza, data la sua posizione sociale e professionale. Come se carriera e prestigio valgano più della nostra dignità. Si lancia addirittura l’hashtag ‘io nn ci credo’ dato che, sempre stando alla stampa locale, lo stesso ‘mal capitato’ sarebbe chiuso in casa, in preda allo sconforto, pensando di essere ‘VITTIMA di un errore’. Se ad aggredire fosse stato un immigrato o un poveraccio qualsiasi, come successo alla stazione di Giulianova un paio di settimane fa, questi sarebbe stato condannato come stupratore dall’opinione pubblica, senza assoluzione alcuna.
Per noi la violenza non ha colore né portafogli: è semplicemente uno dei meccanismi di repressione del patriarcato e non facciamo troppi distinguo in merito. Tralasciando le nostre cronache cittadine, è chiaro che esiste un problema nella narrazione quotidiana della violenza di genere, creando ulteriore violenza verso le donne. L’atteggiamento di scetticismo, la mancanza di credibilità verso l’esperienza della donna, la gogna mediatica, la presunzione di innocenza giustificano la violenza sulle donne e arrivano anche a spingere tutte le altre donne a non denunciare le violenze subite per paura del victim blaming e cioè di essere giudicate, accusate, non credute.
In questo caso si tratta di un uomo inattaccabile, simbolo perfetto dell’uomo di potere e del patriarcato, tipico di una cultura maschilista e machista. La narrazione pubblica della violenza in tutte le sue forme deve iniziare ad essere vista collettivamente come profondamente anormale, non giustificabile e da estirpare. La condanna dei femminicidi e degli stupri, la celebrazione della donna nelle giornate come l’8 marzo e il 25 novembre, la creazione di commissioni o assessorati alle pari opportunità sono destinate a rimanere vuoti proclami se di fronte a fatti come questi rimaniamo in silenzio. La colpevolizzazione della vittima è VIOLENZA, non è una questione privata ma ci tocca TUTTE”.