Le notizie non fanno più notizia. Non è più tempo di inchieste e di fatti se ognuno ha una spiegazione per quel che accade e, per dire, il signor virologo, sino a ieri pressoché ignoto, si erge adesso a tuttologo compiaciuto e riverito.
Non è più tempo di giornali se tutti scrivono le stesse cose. Se i giornalisti, la stragrande maggioranza, se ne stanno appecoronati al caldo di un pensiero unico -che pianifica cosa dire e cosa non dire- rinunciando al diritto/dovere di cronaca e di critica, insieme alla capacità di indagine.
È così che muoiono i giornali, mentre tutta una categoria di privilegiati invoca tutela e non perde occasione per mostrare il peggio di se. Gente che si parla addosso seppur dandosi reciproca ragione in quelle stucchevoli e sempre uguali compagnie di giro televisive dove la tesi a gettone, per di più urlata, trionfa sui fatti come la finzione sulla realtà.
Se poi capita un vaccino da arraffare prima di un ultraottantenne ecco che l’opinionista volubile, infischiandosene della decenza, ci si butta a pesce senza remore. E se scoperto s’indigna pure, farfugliando fesserie e bugie ben pagate dal servizio pubblico.
Muore così il giornalismo, mestiere antico e nobile cui nessuno più crede perché in mano a plotoni di psicolabili che l’hanno ridicolizzato e reso persino ripugnante. Al seguito di questa comunicazione ansiogena e ossessiva, preconfezionata come una merendina.
Muore, ancora, coi nomi di noti cronisti che emergono, che fanno da contorno a quel Sistema Palamara che ha portato a galla le porcherie di una magistratura peggiore dei cittadini che dovrebbe saper giudicare. Dove siccome “cane non mangia cane” le intercettazioni che riguardano politici avversi e gente comune si pubblicano, quelle di amici si interpretano, le proprie si omettono.
Muore coi silenzi imbarazzati, col non dire, non scrivere e non strillare in prima la cruda verità sull’ennesima eroina di cartapesta di un femminismo malato, ma tanto sbandierato, scoperchiata per quella che invece è, e per tutto il male che ha riservato alle sventurate che per lei avevano lavorato.
Impossibile meravigliarsi che nessuno legga più. Che le copie vendute siano al minimo storico e continuino a calare inesorabilmente. Ovvio che i social la facciano da padrone: se il fatto è soltanto un’opinione, è logico che ognuno veicoli la sua. Così il giornalismo muore. E sono i giornalisti che lo stanno ammazzando.