Fallimenti in epoca Covid. Il sostegno pubblico sarà fondamentale per il futuro dell'economia



di Gabriele e Nicola Iuvinale
Categoria: EXTREMA RATIO
05/03/2021 alle ore 12:24



Sin dall’inizio della crisi economica determinata dalla pandemia, si è diffuso il timore che essa avrebbe determinato un’ondata di fallimenti e di chiusure.

Tale timore ha portato all’adozione di un vasto insieme di misure di sostegno alle imprese sia in forma diretta, quali quelle finalizzate a ridurre l’impatto della crisi sul conto economico e sul fabbisogno di liquidità (ad esempio, i contributi a fondo perduto e le moratorie sui prestiti), sia tramite il settore bancario attraverso la previsione di schemi di garanzia pubblica sui prestiti.

A queste misure economiche, si sono accompagnati interventi sul quadro giuridico finalizzati a «disattivare» alcune disposizioni che hanno la funzione di proteggere i creditori, ma che nell’attuale congiuntura avrebbero potuto portare alla liquidazione o al fallimento imprese altrimenti sane.

Rientrano tra queste misure, ad esempio, la sospensione delle norme di diritto societario sulla necessità di ricapitalizzare pena lo scioglimento della società e, soprattutto, le moratorie sui fallimenti.

Sul tema, la Banca d’Italia (Servizio Struttura economica, Divisione Economia e diritto) ha diffuso una nota (di S. Giacomelli, S. Mocetti e G. Rodano).

Le evidenze disponibili indicano all'Istituto che le misure economiche di sostegno alle imprese hanno ridotto in misura significativa l’impatto della crisi. Tuttavia, l’incertezza sulle prospettive economiche, l’aumento dell’indebitamento delle imprese e l’indebolimento patrimoniale, nel frattempo intervenuti, sollevano l’interrogativo di come si evolveranno i fallimenti nei prossimi mesi, quando saranno «ritirate» le misure di sostegno ed emergeranno i fallimenti «congelati».

Banca d'Italia, con lo studio, fornisce una stima della relazione tra fallimenti e ciclo economico, descrive l’andamento dei fallimenti nel 2020 e formula una previsione circa la loro possibile evoluzione nell’immediato futuro, anche con l’obiettivo di evidenziare i rischi di congestione nei tribunali per queste procedure.

I risultati indicano che al calo del PIL è associato un aumento significativo dei fallimenti sia nell’anno in cui si registra la caduta sia nei due anni successivi (le elasticità stimate sono pari rispettivamente a 1,25, 0,65 e 0,92). Sulla base di queste stime una flessione del PIL del 9 per cento, come quella prevista da Banca d’Italia per il 20203, porterebbe a un aumento dei fallimenti di circa 2.800 entro il 2022 (rispetto ai circa 11.000 registrati nel 2019). A fronte di tali valutazioni, nel 2020 il numero di fallimenti è, al contrario, diminuito di circa un terzo rispetto al 2019.

Per l'Istituto, il minore numero di fallimenti (fallimenti «mancanti») dipende da due fattori. In primo luogo, vi hanno contribuito la moratoria sui fallimenti (in vigore da inizio marzo a fine giugno) e il rallentamento generale dell’attività nei tribunali in conseguenza delle misure di contenimento della pandemia.

In secondo luogo, alcune delle imprese già in difficoltà prima della pandemia, e che presumibilmente sarebbero fallite in corso d’anno, potrebbero essere sopravvissute grazie alle misure di sostegno economico.

Tuttavia qualora le difficoltà di tali imprese abbiano natura strutturale è possibile che si tratti solo di fallimenti rimandati nel tempo.

Sulla base delle stime dell’elasticità dei fallimenti al ciclo economico e ipotizzando che quelli «mancanti» del 2020 riemergeranno nei prossimi mesi, BdI ritiene che il numero dei fallimenti potrebbe aumentare di circa 6.500 casi (quasi il 60 per cento di quelli registrati nel 2019) entro il 2022, di cui una parte preponderante già nel 2021.

Tali stime vanno, ovviamente, interpretate con grande cautela a causa della difficoltà di estrapolare le regolarità storiche a una fase congiunturale straordinaria come quella del 2020. Da un lato, l’elasticità dei fallimenti al ciclo economico potrebbe essere sottostimata per la presenza di non-linearità dovute alla caduta eccezionale del PIL.

I fallimenti, però, rappresentano un sottoinsieme di un fenomeno più ampio che è quello dell’uscita dal mercato delle imprese. Solo le imprese che soddisfano alcuni criteri dimensionali sono, infatti, «fallibili», vale a dire soggette alla disciplina delle procedure concorsuali.

Secondo le elaborazioni dell'Istituto sui dati di bilancio di tutte le società di capitali, le società fallibili sono circa il 76 per cento del totale e incidono per la quasi totalità del valore aggiunto prodotto.

Proprio per la dimensione delle imprese coinvolte e per gli effetti sui creditori, il fallimento delle imprese ha riflessi sul sistema produttivo e finanziario significativamente superiori a quelli di una liquidazione volontaria o di altre modalità di uscita dal mercato.

La questione è particolarmente rilevante per il nostro Paese date le note disfunzioni del sistema di gestione delle crisi d’impresa e delle insolvenze.

Le procedure fallimentari hanno durate molto elevate – la durata media dei fallimenti chiusi nel 2019 era pari a 7,5 anni – e consentono recuperi ridotti ai creditori, in particolare a quelli non garantiti Il ricorso agli strumenti di ristrutturazione è limitato e raramente conduce al risanamento delle imprese.

Infine, va rilevato che le difficoltà di gestione delle procedure concorsuali potrebbero aumentare nel caso si verifichi un considerevole incremento del loro numero, con ricadute negative sul sistema produttivo e sulla stabilità finanziaria.

Dato il quadro "a tinte fosche" fornito da Banca d'Italia, emerge che il sostegno pubblico alle imprese, tramite il settore bancario attraverso la previsione di schemi di garanzia pubblica sui prestiti, con contributi pubblici a fondo perduto e moratorie sui prestiti, eventuali concordati fiscali o moratorie sui debiti verso il fisco e interventi sul quadro giuridico, sarà fondamentale per la futura sopravvivenza dell'economia italiana.

E' il difficile tema prioritario, insieme a quelle della lotta alla pandemia, che dovrà affrontare il Governo Draghi.