Smarthphone in classe, ecco cosa pensa la preside teatina che plaude alla Fedeli


Paola di Renzo: "Vietarli sarebbe anacronistico. Strumenti utili, ma serve uso consapevole"



Sì allo smartphone in classe. Dopo che il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli ha annunciato l’imminente arrivo delle linee guida sull’utilizzo degli apparecchi elettronici tra i banchi di scuola, sulla questione si è aperto un vero e proprio dibattito pubblico. E via con il valzer delle polemiche da parte di maestri, pedagogisti e scrittori. Si è schierato per il “no” addirittura l’ex digital champion Riccardo Luna, nominato da Matteo Renzi e oggi direttore dell’agenzia Agi: “Il digitale deve cambiare la scuola ma non così. Il cellulare in aula è un elemento di disturbo”, afferma Luna.

Posizione diametralmente opposta e in linea con le idee della ministra è quella del Rettore e Dirigente scolastico del Convitto nazionale Giambattista Vico di Chieti, Paola Di Renzo, che quotidianamente vive a contatto con ragazzi di tutte le età (scuola primaria, secondaria di primo grado e liceo). “Proibire l’utilizzo dei cellulari sarebbe anacronistico e indesiderabile. La scuola deve essere strettamente collegata ai tempi che viviamo - mette subito in chiaro Di Renzo -. D’altronde la decisione della Fedeli di ammettere gli smartphone, seppure attraverso l’uso consapevole ed esclusivamente per finalità didattiche, non segna una grande discontinuità rispetto alle linee seguite finora del ministero. È vero che l’ultima circolare sul tema è quella del 2007 a firma del ministro Giuseppe Fioroni, nella quale si vietava l’uso del cellullare in classe – rimarca l’insegnante - ma è altrettanto vero che quella circolare fu la risposta a fatti di cronaca molto pesanti, verificatisi in quel periodo e legati proprio ad alcuni comportamenti sbagliati dei giovani nell’uso dei cellullari”.

Secondo Di Renzo, dunque, l’idea di promuovere attività in classe volte a facilitare l’uso critico dei dispositivi di connessione, per creare una coscienza dell’uso dei media, risale a molti anni prima.

“Ho preso parte ai gruppi di ricerca costituiti nelle varie regioni italiane promossi dal professore di sociologia alla sapienza di Roma Mario Morcellini – fa sapere la dirigente scolastica -. Il sociologo, nelle sue lezioni di “Media education”, sostiene che più che imparare a utilizzare i media per approcciare nozioni e promuovere abilità, è fondamentale la conoscenza del funzionamento delle logiche profonde che ci sono dietro ai media”.

Ma quindi come si regoleranno i professori ? Gli alunni avranno mano libera nell’uso degli smartphone ?

“Attualmente ogni scuola si regola autonomamente secondo il proprio regolamento. Nel nostro plesso scolastico- spiega la preside- facciamo depositare i telefonini all’ingresso, poi però ne consentiamo l’utilizzo per le attività innovative di didattica. L’anno scorso, ad esempio – racconta Di Renzo - abbiamo pensato alle pillole di grammatica tramite whatsapp e l’idea ha funzionato, con i ragazzi che in qualsiasi momento, anche mentre tornavano a casa in autobus, potevano ascoltare la loro insegnante spiegare in pochi minuti alcune regole”.

A giudizio della docente, dunque, “se guidati ed educati all’uso consapevole, non c’è alcun motivo per vietare gli smartphone, che anzi possono rivelarsi strumenti preziosi. È giusto che si insegni come riconoscere le fake news da quelle attendibili – rileva Di Renzo - e che i ragazzi sappiano che dietro attività di e-commerce spesso si nascondono traffici illegali”.

La preside chiama in causa anche i genitori dei ragazzi. “Hanno un ruolo fondamentale e purtroppo sono spesso proprio loro a creare dei danni – evidenzia l’insegnante -. Recenti indagini Istat hanno riscontrato la diffusione sempre più massiccia della ‘bedroom culture’, che vede i bambini, chiusi nelle loro stanze, avere libero accesso a tutte le informazioni che circolano sul web, senza alcun filtro e senza il controllo degli adulti”.

Insomma, il telefono come nuovo strumento didattico, ma agli studenti non sarà concesso di farsi i fatti loro.

Infine la dirigente tiene a fornire un prezioso suggerimento a chi come lei ha figli e passa il tempo con i giovani citando “Philippe Meirieu” che nel libro “ Il piacere di apprendere” prova a svelare il trucco per infondere il gusto di imparare: “prima di tutto spetta a noi adulti dare il buon esempio, rallentare i nostri ritmi frenetici, recuperare una dimensione empatica con i nostri ragazzi, dedicare più tempo a loro e recuperare il pensiero creativo”.

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