Aprire per non morire. O, se preferite, aprire per tornare a vivere. Il compito più complicato per Mario Draghi è proprio questo. Assai più della gestione attenta a puntuale dei miliardi del Recovery.
Aprire che non significa disattenzione o superficialità, ma certamente stop ad ogni integralismo, ad ogni rigidità più o meno giustificata da risultanze “scientifiche” che da quasi un anno continuano ad essere presunte e spesso cervellotiche.
L’Italia ha le scatole piene della logica dei soloni del ministero della Salute e del Cts. Logica demenziale e autolesionista secondo cui, se i dati su decessi e ricoveri sono ai minimi si deve chiudere tutto per evitare che risalgano. Dopodiché se i dati tornano a crescere si deve chiudere tutto perché, appunto, stanno crescendo.
Draghi ha anche questo di compito, deve rasserenare, ridare fiducia e indicare una credibile via d’uscita. Sulle aperture delle attività economiche, certo, ma anche sulla strategia vaccinale. Aprire ai vaccini, a tutti quelli disponibili, perché arrivino presto e a tutti.
Cominciando magari dal russo Sputnik V (di cui questa rubrica s’e’ occupata!) che è efficace al 91,6 % (Lancet, ndr), che è stato pure già testato personalmente dal nostro ambasciatore a Mosca, ma che l’Unione europea cincischia, per chiare ragioni geopolitiche, ad acquisire.
Se accade, come adesso, che i vaccini siano insufficienti bisogna solo fare come chi è stato più bravo di noi. Fare come hanno fatto Inghilterra, Israele, ma anche Ungheria e, addirittura, San Marino.
Non è che si possa ancora attendere, per spocchia o incapacità, la Commissione
della von der Leyen cui e’ riuscito il risibile capolavoro di stipulare contratti senza penali che, guarda caso, ora non vengono rispettati.
Fare presto e fare bene è compito di Draghi. Trovare soluzioni adeguate non solo alle inadeguatezze nazionali, ma anche a quelle europee. E aprire per non morire non è uno slogan. È una necessità.