Il Governo di Mario Draghi si trova di fronte alla sfida più complicata dall’arrivo della pandemia Covid19: tra i Paesi più duramente colpiti dall’emergenza sanitaria, nel continuo ondeggiare di Stato e Regioni tra salvare vite umane e salvare l’economia, dovrà gestire tutti gli interessi che ruotano intorno alle risorse messe a disposizione dall’Unione europea. 209 miliardi del nuovo programma di solidarietà che va sotto il nome di Recovery Fund, 20 miliardi del Sure, 20 miliardi Bei, e 50 miliardi del bilancio europeo 2021-2026.
Archiviati i provvedimenti e la bozza di programma presentati dal Governo Conte II (ritenuti lacunosi dalla Commissione Europea), dovrà affrontare tutte le inefficienze del sistema- Paese drammaticamente emerse nell’ultimo anno, quelle stesse problematiche che ci hanno ancorato, negli ultimi 20 anni, dietro a tutte le economie avanzate.
La vaccinazione della gran parte della popolazione sarà il punto di partenza della programmazione economica: non vi sarà nessuna ripresa e nessun piano di sviluppo attuabile se il virus non sarà adeguatamente circoscritto in modo tale che l’economia possa rimettersi in moto.
Oltre alla costruzione di lungimiranti programmi di spesa, la svolta avverrà anche grazie a risolute riforme che dovranno rafforzare l’ambiente imprenditoriale, riducendo gli oneri burocratici ed i vincoli che oggi ostacolano produttività ed investimenti. Riforme che saranno pesate dall’Unione Europea con la stessa trasparenza con cui saranno presentati i programmi di spesa: effetti di ogni provvedimento sulla crescita del Pil (con tanto di indicatori di valutazione adottati), effetti sull’ occupazione e conseguenze su tutte le altre variabili macroeconomiche.
In particolare il finanziamento del Recovery si baserà sul sistema “pay for performance”: le risorse arriveranno se e quando saranno realizzati gli obiettivi concordati tra i Paesi e l’Ue. Obiettivo dell’Unione sarà quello di diventare più resiliente, in una strategia di autonomia geopolitica: più forte nel mercato interno e con una partecipazione rinnovata e decisa alle catene globali del valore.
Con il piano bisognerà altresì rendere il debito pubblico italiano sostenibile agli occhi degli investitori, dimostrando l’Italia affidabile nel far crescere l’economia in modo tale da recuperare, nel breve-medio termine, lo squilibrio del debito acceleratosi nel 2020.
Sarà necessario comprendere qual è la visione con cui il Governo Draghi vorrà trasformare l’Italia: la scelta su quali saranno i principali assets strategici su cui imperniare il nuovo modello di sviluppo passerà inevitabilmente per la verifica dei numeri. La “metodologia Draghi” che in Banca centrale ha applicato sistemi di analisi agli indicatori varrà anche per il Governo del Paese: non si potrà prescindere dalla disamina dei settori che hanno ceduto maggiormente alla crisi, correlandoli alla loro incidenza sul Pil prima del coronavirus.
Il piano sarà “blindato” grazie all’ampio coinvolgimento di quasi tutte le forze politiche, in modo tale che, anche quando si andrà a nuove elezioni, ne sarà assicurata l’esecuzione.
L’ampio appoggio parlamentare dovrà altresì garantire che siano escluse riforme “leggere” o di sola facciata, che poco andrebbero ad incidere sulla situazione economica.
Nell’individuazione e nell’esecuzione dei progetti saranno altresì fondamentali sia la partecipazione della rappresentanza delle realtà imprenditoriali private e delle organizzazioni sociali che quella delle Istituzioni regionali e delle autonomie locali: queste ultime dovranno collaborare nel risolvere le gravi criticità dei nodi burocratici che da sempre bloccano la realizzazione dei progetti.
Il lavoro da svolgere è dunque enorme: i tempi stringono, essendo fissati al 2023 gli impegni finanziari delle somme, mentre entro il 2026 dovranno essere perfezionate le spese.
Una gran bella sfida, all’altezza di Mario Draghi.