Imu. Una recente decisione della Cassazione spalanca le porte ad una valanga di cartelle ingiuste


IMU. "Interpretazione Mistificata Unilaterale"


di Gabriele e Nicola Iuvinale
Categoria: EXTREMA RATIO
15/02/2021 alle ore 18:32



Una recente decisione della Cassazione spalanca le porte ad una possibile valanga di cartelle ingiuste a carico delle famiglie già pesantemente colpite dalla crisi economica.

Tutti conosciamo l'IMU, l'imposta Municipale Propria (ex ICI).

Le sue caratteristiche principali sono:

  1. di fatto è una patrimoniale;

  2. si paga sulle seconde case e non sulle abitazioni principali;

  3. è disancorata dal reddito perché si calcola sulla rendita catastale dell'immobile;

  4. si paga anche se non hai reddito;

  5. ha disincentivato gli investimenti immobiliari contribuendo alla crisi del settore;

  6. è comunemente percepita come una gabella ingiusta;

  7. viene principalmente destinata a finanziare le casse comunali.

L'IMU, introdotta nel 2001 dal D.L. 201/2011, attualmente è disciplinata dai commi 738 e segg. della Legge 27 dicembre 2019, n. 160.

In particolare, il vecchio art. 13 comma 2, del DL 201/2011 precisava che Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unita' immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.”

Si stabiliva, inoltre, che Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

La stessa identica definizione viene oggi riportata nel comma 741 lett. b) della L.169/2019.

In pratica, la famiglia non paga l'IMU sull'immobile in proprietà se vi risiedono e dimorano, abitualmente, il proprietario ed il suo nucleo familiare.

Se i coniugi possiedono due case nello stesso Comune ed ognuno risiede e dimora stabilmente nella propria, solo un immobile potrà beneficiare dell'esenzione.

Per interpretazione costante del Ministro delle Finanze, se i coniugi possiedono gli immobili in Comuni differenti ed ognuno risiede e dimora stabilmente nel proprio, entrambi gli immobili possono beneficiare dell'esenzione IMU.

E ciò, anche per ragioni umane, legate, ad esempio, alla necessità di "dividere" la famiglia per esigenze lavorative.

Tale orientamento è stato sempre sostenuto dal MEF sin dal 2012, sul presupposto della mancanza di disposizione normativa contraria, della specialità della legge IMU e del suo divieto di applicazione analogica, come stabilito anche dalle preleggi del codice civile.

Infatti, nella Circolare 3/DF del 18 maggio 2012 si precisa che:

Se, ad esempio, nell’immobile in comproprietà fra i coniugi, destinato all’abitazione principale, risiede e dimora solo uno dei coniugi - non legalmente separati - poiché l’altro risiede e dimora in un diverso immobile, situato nello stesso comune, l’agevolazione non viene totalmente persa, ma spetta solo ad uno dei due coniugi. Nell’ipotesi in cui sia un figlio a dimorare e risiedere anagraficamente in altro immobile ubicato nello stesso comune, e, quindi, costituisce un nuovo nucleo familiare, il genitore perde solo l’eventuale maggiorazione della detrazione.

Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative”.

Questa interpretazione, è anche confermata dal MEF nelle FAQ Mini IMU e Maggiorazione Tares risposta a quesiti del 20 gennaio 2014.

11) Con la recente modifica alla tassazione degli immobili, l’Imu non è dovuta per l’abitazione principale e relative pertinenze. L’articolo 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011 dispone che se i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e residenza anagrafica in immobili diversi situati nel medesimo comune l’agevolazione (ora l’esenzione) si applica per un solo immobile. Si dovrebbe intendere che se i coniugi hanno la dimora e residenza in comuni diversi possono entrambi usufruire della esenzione. Anche alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 14389/2010, la quale afferma che una abitazione viene considerata principale solo se vi dimorano tutti i familiari, si chiede conferma di tale interpretazione.

Il regime che definisce l'abitazione principale ai fini IMU è rimasto lo stesso, ciò che è cambiato è la misura dell'agevolazione che, a decorrere dal 2014, è divenuta un'esenzione. Si conferma, pertanto, che l'esenzione si applica nel caso in cui i coniugi abbiano stabilito l'abitazione principale in due comuni diversi. La sentenza della Corte di Cassazione ha individuato un principio interpretativo delle norme sull'ICI relative all'abitazione principale che non recavano la stessa disposizione in commento. Pertanto, tale criterio interpretativo non può essere utilizzato quando la norma tributaria dispone chiaramente in materia”.

Tali osservazioni sono state sempre recepite nella recente giurisprudenza di merito, tra le quali basta citare laC.T.P. di Bologna, sez. 1, n. 441 del 22 marzo 2017 che conferma l'interpretazione del MEF e propone, addirittura, una interpretazione costituzionalmente orientata:

Oltre tutto, se si seguisse la prospettazione del Comune che consente l'esenzione solo quando si sia in presenza di una separazione giudiziale, si realizzerebbe una inammissibile disparità di trattamento a scapito di una coppia di coniugi (o uniti civilmente) rispetto a una coppia di fatto che invece si vedrebbe serenamente riconosciuto il diritto all'esenzione per due immobili (Ctp Bologna Sez. I, n. 441 del 22 marzo 2017). Perciò, nel dubbio, occorrerebbe comunque fornire una interpretazione "costituzionalmente orientata" in modo da evitare possibili lesioni del principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione) e/o del principio di capacità contributiva sancito dall'art. 53 della Costituzione, oltre che dell'art. 29 che tutela e riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

Con una recente ordinanza della Cassazione del 24.9.2020 n. 20130, però, si ribalta completamente l'interpretazione della norma con un provvedimento che ha, a dir poco, dell'incredibile!

La Cassazione, infatti, contrariamente al MEF, statuisce che:

Il D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, per quanto qui rileva, statuisce che <L'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (...). Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente>.

In parole povere, la Cassazione ha stabilito che se i coniugi possiedono gli immobili in Comuni differenti ed ognuno di essi risiede e dimora stabilmente nel proprio, nessuno dei due immobili può beneficiare dell'esenzione IMU sul presupposto che il beneficio è utilizzabile solo se il possessore, e il suo nucleo familiare, dimorino stabilmente e risiedano anche anagraficamente nella stessa casa.

Il tutto, non solo in contrasto con l'interpretazione costante del MEF (sopra richiamata), ma addirittura anche con i principi generali dell'ordinamento giuridico.

Infatti, non vi è una disposizione normativa che preveda espressamente quanto stabilito dalla Cassazione essendo, invero, previsto solo se i coniugi risiedono nello stesso comune ex art. 13 comma 2, del DL 201/2011 e comma 741 lett. b) della L.169/2019, limitato, però, ad un solo immobile.

La Cassazione, in pratica, sulla base di una interpretazione parziale del comma 2 del DL 201/2011 ed omettendo di riportare e commentare la restante parte della disposizione (che invero prevede una fattispecie differente), fornisce una esegesi distorta della norma, finendo per introdurre, surrettiziamente, nell'ordinamento giuridico una imposizione tributaria non prevista espressamente dalla legge.

I Giudici, quindi, “si sostituiscono di fatto al legislatore” ed al MEF.

Si crea, in tal modo, non solo un contrasto tra i poteri dello Stato, ma addirittura si contravvenire la Costituzione perché in discordanza con il principio di legalità stabilito dall'art. 23 Cost. secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base a una legge”.

In violazione, dunque, sia della legalità formale - per mancanza di una specifica disposizione di legge (cosiddetta costituzionalità formale) - ma anche sostanziale - perché il contenuto parrebbe non conforme ai principi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale) cui agli artt. 3, 29 e 53 della Costituzione.

Inoltre, i Giudici, introducendo forzosamente una imposizione tributaria non prevista espressamente dalla legge e non plasmabile nell'ordinamento per effetto interpretativo, finiscono anche per porsi in contrasto con l'art. 14 delle preleggi. Principio riportato dalla C.T.P. di Bologna citata, secondo cui:

In sostanza, l'ordinamento ha previsto in via generale l'esenzione dal pagamento per gli immobili adibiti ad abitazione principale; lo stesso legislatore ha disciplinato in modo diverso una particolare fattispecie, prevedendo, in via eccezionale, l'applicazione dell'esenzione per un solo immobile quando si tratti di più immobili collocati nello stesso comune.

La norma si pone, come detto, quale eccezione alla esenzione dal pagamento per gli immobili adibiti ad abitazione principale; perciò, anche per questa considerazione, non può trovare applicazione in via analogica (ma in realtà sarebbe addirittura in via estensiva e quindi vietata in quanto norma fiscale) nei casi in cui gli immobili siano collocati in comuni diversi; ciò in base al ben noto principio (art 14 delle disposizioni sulla legge in generale al codice civile) secondo cui le norme eccezionali si devono applicare esclusivamente alle ipotesi espressamente previste e non possono essere applicate a casi diversi, seppur analoghi a quelli espressamente e puntualmente regolamentati”.

Una interpretazione, quella della Cassazione, difficile da comprendere ed alla quale bisognerebbe porre rimedio subito sul piano normativo per evitare una “pandemia” di accertamenti ingiusti - che retroagirebbero di cinque anni per entrambi i coniugi - contrari anche al principio di buona fede e di affidamento dei contribuenti.

Questa situazione finirà per mettere in enorme difficoltà tante famiglie oggi costrette ad entrate ridotte e difficoltà lavorative per cause a loro non imputabili.

Il soggetto passivo dell'imposta, poi, avendo fatto ragionevole affidamento sulla legislazione IMU e sulle circolari ministeriali, si vedrebbe ingiustamente applicare anche sanzioni ed interessi, senza colpa.

In base alla pronuncia della Cassazione in questi giorni alcuni Comuni, in tutta Italia, stanno preavvisando i cittadini sull'invio di accertamenti tributari.

Alcune Amministrazioni motivano la scelta poiché, a loro dire, potrebbero risponderne dinanzi la Corte dei Conti in caso di inerzia.

Insomma, una situazione kafkiana.

Chi deve farsi subito carico della soluzione del problema?

Data la grande platea degli interessati, indubbiamente il decisore politico attraverso un legge ad hoc che ha valenza erga omnes; poi la Corte Costituzionale, ad esempio, con sentenza correttiva (pur non comprendendosi i motivi della mancata rimessione, in tanti anni di contenzioso, alla Corte stessa).

Infine, si potrebbe anche pensare ad un interpello disapplicativo ex art. 11, comma 2, Statuto del contribuente da parte del singolo cittadino.

Nicola e Gabriele Iuvinale – Extrema Ratio