"Parlamento Sotterraneo" Mario Nanni svela miserie e nobiltà di Montecitorio



di l'innocente
Categoria: CapoVerso (rubrica innocente)
16/11/2020 alle ore 21:49



“Sto parlando all’amico. Resti tra noi. Parlo of the records”. È una costante senza tempo la “preoccupazione” che aleggia nel corridoio dei passi perduti o alla buvette di Montecitorio quando, incauto o rampante che sia, il politico si lascia andare a confidenze vere o presunte nell’intento, davvero stupido, di acquisire benevolenza o riconoscenza dal cronista.

Mario Nanni è uno di quelli che ne ha viste e sentite per anni, cosicché proprio non sorprende che abbia voluto offrircene uno spaccato ragionato col questo suo godibile “Parlamento Sotterraneo” (Rubettino, 16€ ).

Aprendo con circospezione la cassaforte dei ricordi, degli aneddoti e delle citazioni, lo storico capo del politico dell’Ansa evidenzia, annota e ci restituisce un universo che ancor oggi è sconosciuto o ignorato e, perciò, del tutto degno di essere esplorato.

I tormenti e le mattane, le baldanze e le genialità, le iperbole e le cadute di stile di tanti protagonisti di questo Palazzo nel cuore della Capitale trovano quindi il loro compimento nel puntuto racconto di Nanni. Che, nel tratteggiare i fatti, a nulla s’inchina se non a quell’etica del dovere che impone ad ogni giornalista di fare sempre e soltanto il suo mestiere, cioè “dare le notizie”.

Passano gli anni e quello che fu tempio felpato, riservato, ma anche subdolo e vendicativo di contrapposizione politica, cangia -segno dei tempi- in questa sorta di colorito vaso di Pandora, ridicolo e un po’ sbruffone, dei giorni nostri.

Un mare pescoso per la penna del diligente cronista alle prese con una sfilata di “maschere” che ci inquietano, ma di sicuro ci rappresentano. 

È così che emergono le mitiche vasche di Ciriaco De Mita e le preferenze di Giuseppe Cossiga e la querelle sullo scrutinio segreto con l’ira funesta di Bettino Craxi. 

Come anche quel Giorgio Almirante, giornalista amico dei giornalisti, detto “vescica di ferro” e pure quel Mario Pochetti “buttadentro” del Pci che non si placava neppure davanti a Enrico Berlinguer. 

C’è il rito mattutino del “caminetto” di Giulio Andreotti e c’è l’episodio del caffè di Luciano Violante alla buvette a seguito del quale scoppia un vespaio. 

Spazio quindi al pallottoliere inceppato di Arturo Parisi che provoca la caduta di Romano Prodi, al “teatrino” di Silvio Berlusconi e alla frusta di “Re” Giorgio Napolitano, sino a giungere, tra altri cento fatti e personaggi, alla “scatola di tonno” di Grillo e dei pentastellati che tracimano, increduli e spaesati, tra quei marmi lucidi e quei divani di pelle amaranto.

Il tutto con il contorno dei noti “pianisti” e degli insulti e delle parolacce che infine s’aprono una breccia anche nel lessico parlamentare fino alla umiliante notazione dell’oratore che parla mentre i colleghi stanno a smanettare al cellulare o al tablet.

Un caleidoscopio di miserie (tante) e di nobiltà (rare) che ha per protagonisti figure e figuri di ieri e di oggi intenti a confrontarsi, blandirsi e sfidarsi nella convinzione di essere ognuno il più furbo degli altri. Perché, come ebbe a notare un osservatore acuto e scanzonato del calibro di Giuseppe Prezzolini “L’italiano ha un tale culto per la furbizia che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno”.