Sara' l'inverno del nostro scontento? E come ne usciremo fuori a primavera?


Con l'economista Pino Mauro facciamo i conti alla covid-economia abruzzese


di Raffaele Giansante
Categoria: ABRUZZO
07/11/2020 alle ore 12:23



A due mesi scarsi dalla fine del 2020, con lo spettro di una lunga invernata sotto il segno del Covid, è il momento di fare un po’ di conti sullo stato attuale dell’economia abruzzese e sulle proiezioni 2021. L’abbiamo fatto con l’economista Giuseppe Mauro.

Per cominciare dove eravamo rimasti?

L’Abruzzo sembrava poter uscire dalla prima ondata del Covid-19 in condizioni di difficoltà ma non drammatiche. Molti indicatori andavano in questa direzione. In primo luogo, la tenuta sul piano occupazionale nel secondo trimestre del 2020, con sole 3.000 unità lavorative in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ma con un forte rimbalzo tra primo e secondo trimestre di oltre 10 mila posti di lavoro. In secondo luogo, la positiva e consistente crescita del PIL nel terzo trimestre di quest’anno che, se per l’Italia era pari al 16,1%, per l’Abruzzo poteva raggiungere un livello addirittura superiore, in particolare per la forte spinta data dal turismo e dalla riapertura delle attività economiche. Queste due tendenze facevano presagire per l’interno anno 2020 una caduta del PIL meno dolorosa se rapportata alle regioni più avanzate. La SVIMEZ, l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno stimava per l’Abruzzo una perdita di produzione intorno all’8,3%, perdita certamente preoccupante ma tale da poter prevedere una ripresa significativa nel corso del 2021.

E invece?

Certo, non mancavano i campanelli d’allarme. La difficile situazione di alcuni settori fortemente presenti nei circuiti internazionali, come nel caso dell’automotive, che ha visto ridurre le esportazioni e gli scambi internazionali. E poi la contrazione dei posti di lavoro nel comparto femminile, pari a oltre il 4% in un solo anno, riportando il tasso di occupazione al 44%, percentuale decisamente modesta sia nel confronto internazionale che in quello con le altre regioni del Centro- Nord. Il crollo dei servizi nella fase di lockdown ha infatti colpito nel cuore quel tipo di lavoro basato sul precariato e sul tempo determinato dove la componente femminile appare più presente. Un quadro, ovviamente, nel complesso negativo ma tale da indurre concrete speranze di ripresa e di superamento delle difficoltà.

Cosa cambierà questa seconda ondata?

Questa seconda ondata muta profondamente il quadro appena delineato. Le prospettive diventano ancora più incerte e difficili. Le previsioni sul PIL e sull’occupazione sono più preoccupanti. I consumi e gli investimenti ancora una volta vengono rinviati. Una testimonianza autentica dell’incertezza ed insicurezza che regna sul mercato è data dalla rapida crescita dei depositi bancari, capitali tristi che rimangono inoperosi presso le banche e che attendono di essere ritirati per trasformarli in consumi.

Quale la conseguenza più evidente?

Si sposta così in avanti, al 2022, il ritorno alla normalità pre Covid, con la prospettiva di un’impennata della disoccupazione. Il calo del PIL sarà ancora più intenso, forse di circa due punti in più di quello che si era in precedenza stimato, portando il suo crollo ad oltre il 10-11%.

Chi pagherà il conto più salato?

Ancora una volta a farne le spese saranno i lavoratori temporanei, i giovani e le donne che vivranno con amarezza questa “ripresa interrotta”.

Chi e come sarà chiamato ad intervenire?

Mai come in questo momento diventa importante il ruolo dello Stato e della Regione. Occorre con immediatezza trasferire agli operatori economici, ai lavoratori e alle famiglie risorse e fiducia. Risorse per superare o quanto meno contenere la perdita di benessere e di lavoro. Fiducia per poter sperare che l’epidemia possa essere superata in un clima di coesione e di speranza.