Chi muore col Covid non muore soltanto, muore da solo


Questa è una storia triste, una delle tante storie che in questo duemilaventi sta segnando l'umanità. Questa è la storia di Tullio


di Elisa Leuzzo
Categoria: Editoriale
04/11/2020 alle ore 20:00



Chi muore col Covid non muore soltanto, muore da solo.

Questa è una storia triste, una delle tante storie che in questo duemilaventi sta segnando l’umanità. Questa è la storia di Tullio.

La scelta di scrivere questa storia nasce dalla volontà di sensibilizzare gli scettici, a chi non crede, e magari sorride, del Coronavirus, e per manifestare cordoglio a chi, addolorato, ha perso i propri cari.

Tullio era un uomo forte, un operaio, sposato e padre di due ragazze, aveva 63 anni. La sua 'patologia'? Era diabetico, nient’altro.

Tra i suoi ultimi messaggi, prima di essere intubato, scrivendo alle figlie: “Vi voglio bene; se la cosa si mette male dovete essere uniti a vostra madre. Io poi vi seguirò dall’alto. Sono troppo stanco. Un bacione a tutti”.

Tullio è stato ricoverato il 28 settembre, era cosciente, usava il cellulare per comunicare con la famiglia, ha vissuto la malattia giorno per giorno, da solo. Alla moglie scriveva: “Ho fatto la nottata, ho preteso che mi togliessero la mascherina perché mi faceva male, è troppo piccola per me, mi fanno male i denti ed ho tanta sete, ma non c’è nessuno che mi asseconda. Alla fine ho minacciato due giovani infermieri dicendo loro che mi sarei tolto tutto e in 5 minuti ho potuto bere un po’ d‘acqua”.

Tullio, dopo l’ennesima nottata insonne, ha chiesto di essere intubato, lo ha comunicato alla moglie scrivendo: “Ho finito l’acqua; domani come faccio? Intanto comunico con l’alfabeto morse, 2 punti una linea sos... sperando che qualcuno mi segua. Dopo un'ora è arrivato chi evidentemente lo conosceva. Ho preso una decisione: mi faccio intubare. E' una mia scelta ma non ricordo a quale anestesia sono allergico. Vi voglio bene…, sono stanco, un bacione a tutti”.

Dopo 10 giorni di ospedale Tullio è morto per arresto cardiaco. Da solo.

La moglie, le figlie, gli amici e i parenti, non hanno potuto porgergli l’ultimo saluto. 

“Ho fatto portare mio marito in ospedale perché volevo che stesse meglio” – dichiara la moglie, Sofia – “ma non l’ho visto piú. Dopo 10 giorni era chiuso in un sacco ed è mancato pure un ultimo abbraccio. Mi chiedeva poche cose tramite messaggi: un panno per bagnarsi la bocca o poco di più. Ma non sono riuscita ad aiutarlo. Sono stata pomeriggi interi al telefono ad aspettare che mi rispondessero nel reparto, per sentirmi dire, talvolta: stazionario, né peggiorato né migliorato. Ho ricevuto una sola telefonata, il 7 ottobre: dovevo ritirare i suoi effetti personali. Il giorno dopo morì”.

Questa epidemia ci espropria anche del lutto.

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