Al via alla Camera l'esame della proposta di Legge per rendere l'utero in affitto reato universale



di Redazione
Categoria: ITALIA
25/09/2020 alle ore 18:38



Inizia oggi in Commissione Giustizia alla Camera l'esame della proposta di legge di Fratelli d'Italia per rendere l'utero in affitto reato universale, ovvero punibile in Italia anche se commesso all'estero. 

La più recente battaglia di Fratelli D'Italia volge a rendere l’utero in affitto un reato punibile in Italia anche se commesso all’estero, questione annosa, che ancora non riesce a trovare il giusto approdo nel nostro Paese.

In particolare, la leader di Fratelli d’Italia, ha comunicato, anche via social, che la proposta di legge depositata nel 2018, di cui è prima firmataria sull’utero in affitto, ha iniziato il suo iter di vaglio in Commissione alla Camera dei deputati.

Attualmente in Italia, la pratica dell’utero in affitto è impedita grazie alla legge n. 40/2004, che, all’art 12 co. 1 e 2 che vieta la surrogazione di maternità e, al comma 6, ogni realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione della pratica, prevedendo nel contempo, una pena della reclusione da 3 mesi a 2 anni e una multa da 600 mila a un milione di euro.

L’iniziativa quindi propone una modifica al comma 6 dell’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, aggiungendo la seguente formulazione: “Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero”.

Con la maternità surrogata, una donna accetta di strumentalizzare il proprio corpo, per mettere alla luce un bambino che non vedrà mai crescere, nella consapevolezza di ciò, sin dal concepimento. Tale strumentalizzazione è divenuta un vero e proprio business, ove le donne vengono pagate per dare alla vita un infante. Donne che molto spesso, sono spinte dalla disperazione e che decidono non proprio “liberamente” di essere schiave del mercato.

Ad oggi tuttavia, il divieto ex legge n. 40/2004, non viene esteso anche allorquando si provvede alla vera e propria mercificazione della donna all’estero. Pertanto, anche se la pratica de qua in Italia è contraria alle norme dell’ordinamento, vi si può ovviare provvedendovi nei Paesi che la consentono e poi semplicemente ritornare a casa, chiedendo la trascrizione dell’atto di nascita nei registri dello Stato civile italiano.

Tale prassi necessita un più esteso intervento della Giustizia. Sul punto, una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione stabilisce che «Non può essere trascritto in Italia il provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata e il genitore d’intenzione italiano», ciò sul presupposto per cui la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione sono i valori primari da tutelare, valori questi che devono trarre fondamento sui prevalenti interessi del minore e non sui desideri degli adulti.

La Corte di Cassazione si è espressa dunque (si veda ex multis sent. n. 2173/2019) chiarendo che colui che pratica la maternità surrogata, viola la disciplina sulle adozioni perché mette i propri desideri al di sopra delle esigenze del minore. Per giunta, secondo il punto di vista di diversi specialisti in campo psicologico, psicoanalitico e psichiatrico, la maternità surrogata nasconde un altissimo rischio per l’insorgenza di gravi patologie psichiatriche sia per la madre “a termine” che per il bambino. Infatti, il dialogo sensoriale, affettivo ed emotivo fra madre e feto prende avvio proprio durante la gravidanza, in cui il nascituro si lega alla madre ancor prima dell’evento nascita, tanto è vero che, come noto, la sua crescita fisica e psicologica è anche spesso influenzata dall’andamento della gravidanza. Si aggiungano anche le conseguenze sulla psiche della madre, per la quale sussiste un alto il rischio di contrarre patologie psichiatriche, soprattutto di natura depressiva, connesso alla cessione del bambino è naturalmente molto elevato.

Non può non scorgersi nella pratica dell’utero in affitto, anche lo spettro della mercificazione del corpo femminile, volto tra l’altro a far arricchire tutti coloro che intervengono nel mettere in contatto gli aspiranti genitori con la donna, a cui, nella maggior parte dei casi, arriva una minima parte del compenso percepito.

In generale, l’adozione di minori è riservata alla coppia unita in matrimonio e può riguardare un minore dichiarato adottabile dal Tribunale per i Minorenni italiano (c.d. adozione nazionale) oppure dall’autorità di uno Stato estero (c.d. adozione internazionale). Le procedure sono molto complesse e richiedono tempi assai lunghi, ma le lungaggini burocratiche non possono essere una giustificazione per bendarsi gli occhi di fronte alla pratica dell’utero in affitto.

Nella maternità surrogata la donna viene trattata alla stregua di un animale da riproduzione, allorquando la stessa si obbliga a farsi fecondare artificialmente dal componente maschio della coppia committente, da un terzo o anche per via naturale o a ricevere l’impianto di embrione non suo ed a condurre a termine la gravidanza. Dopo di chè, il bambino nato, vero e proprio oggetto del contratto, subito dopo il parto, viene consegnato alla coppia committente come un costosissimo “pacco postale”. Quindi la madre che ha condotto a termine la gestazione, viene esclusa definitivamente dalla vita del bambino.

Seppur il corrispettivo di danaro non è condizione necessaria sia per la stipula dell’accordo, che per l’integrazione del reato secondo l’ordinamento italiano, non può sottacersi l’aberrazione di tale usanza al di là dell’aspetto economico.

Al fine di superare i divieti della nostra normativa, molti cittadini italiani si sono recati in Stati esteri ove l’utero in affitto è legale, per concludere un contratto di maternità surrogata partecipando al c.d. turismo procreativo. Seppur sulla validità di tale procedura, una volta che la coppia fa ritorno in Italia, la nostra legge tace, non mancano le sentenze della Giurisprudenza di legittimità che hanno ritenuto tale condotta un raggiro della legge, ma è indubbio che sia necessario un intervento specifico e granitico del legislatore.

Nell’annoso dibattito inerente la maternità surrogata, molti rivendicano il diritto di scegliere della donna nella mercificazione della parte più naturale e pura del proprio corpo. Ma molto spesso, sono proprio quelle donne che “scelgono” ad essere costrette da necessità o altro, così accettando di divenire mere incubatrici e rinunciano alla propria dignità ed al proprio bambino per poco o molto denaro, a seconda del potere di ricatto esercitabile sulla gestante.

Invero, anche a non voler prestare ascolto alle predette questioni sollevate e strettamente connesse con la lesione della dignità della donna, seppur non si comprenda come, non può non tenersi conto che lo sfruttamento delle madri surrogate, è divenuto una vera e propria industria di mercato, organizzata per sfruttare per lo più donne povere o sprovvedute che rinunciano ai propri diritti umani, per trovare una fonte di guadagno e quindi di sopravvivenza, così accettando di vivere per nove mesi circa, in case apposite e lontano dalle proprie famiglie e da tutte quelle “ingerenze esterne” che potrebbero rovinare il “pacco-bambino” già prenotato dal committente, che stanno producendo.