Quando i poteri di uno Stato si accusano nei talk show o social network


NINO E FOFO', L'ITALIA VI OSSERVA


di Garpez
Categoria: La versione di Garpez
11/05/2020 alle ore 10:39



Proprio nel pomeriggio antecedente all'alba della tanto agognata “fase 2”, quando l’immaginazione ed il fremito di milioni di italiani (me compreso) correvano già all’indomani della scadenza dei termini di detenzione domiciliare da COVID-19, andava in onda il talk show “Non è l’Arena".

Fedele alla mia nota recalcitranza verso contenitori televisivi di intrattenimento o “format” di simile palinsesto, ero pronto a scivolare con il dito sul tasto “off” del telecomando, quando la mia attenzione è stata immediatamente catturata da un dibattito sulla (discutibile) concessione degli arresti domiciliari ad alcuni mafiosi in precarie condizioni di salute per timori legati alla diffusione del coronavirus, causati anche dall'annoso problema del sovraffollamento delle carceri.

Durante questo scambio dialettico di tesi ed antitesi, a favore e contro la scelta governativa di accordare il beneficio domiciliare anche ai detenuti in regime di “41-bis" (un articolo della legge sull’ordinamento penitenziario che disciplina il trattamento intramurario per i delinquenti associati a strutture organizzative di tipo mafioso), si osservava come proprio l'ex direttore generale del D.A.P. (il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), Francesco Basentini, si fosse dimesso sia per la polemica sulla concessione dei domiciliari ad alcuni “boss”, sia per le rivolte in carcere avvenute nelle prime settimane dell’epidemia, e che avevano portato alla morte di almeno 13 detenuti.

Poco dopo essere stato indicato quale possibile direttore generale del D.A.P., Nino Di Matteo – attuale membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già magistrato anti-mafia - ha telefonato alla trasmissione raccontando che, nel 2018, l’attuale Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, gli aveva offerto di guidare il D.A.P., salvo poi cambiare idea e nominare proprio Basentini.

In tal modo lamentando di essere stato trattato in modo non consono per la propria dignità professionale.

La risposta “esterrefatta” di Bonafede non si è fatta attendere, ed è stata affidata al canale social più diffuso: Facebook.

Il Ministro della Giustizia ha respinto, piccato, ogni accusa esplicita o surrettizia, negando di avere ricevuto pressioni esterne (addirittura da parte di alcuni capi-mafia) affinché il ruolo di direttore generale del D.A.P. fosse affidato ad una personalità meno rigorosa ed intransigente di Di Matteo.

Ora, non mi interessa valutare politicamente l'operato di Bonafede, né giuridicamente la carriera di Di Matteo.

I rispettivi “curricula” sono sotto gli occhi di ciascuno di noi.

Mi limito solamente ad osservare che, se due dei tre poteri di uno Stato di diritto, hanno bisogno di affidare le proprie accuse e le relative smentite a talk show o social network, credo che poi non ci si possa lamentare se la fiducia dei cittadini nella politica e nella magistratura registri un apprezzamento via via decrescente.

I panni sporchi, almeno, lavateli a casa.