Fino ad un paio di settimane fa c’era una pia speranza nella Commissione europea che la controversia circa la redistribuzione dei rifugiati si sarebbe potuta risolvere legalmente. La decisione della Corte del Lussemburgo ha dato infine torto all’Ungheria e alla Slovacchia, sostenute dalla Polonia. Ciononostante, quei paesi restano fermi nel rifiuto di accettare il ricollocamento di rifugiati sul loro territorio. Ciò indebolisce la struttura giuridica dell’Unione. Quando nel 2015 la Grecia e l’Italia, e in parte l’Ungheria, erano al centro degli arrivi dei rifugiati fu deciso che 120 mila di questi ultimi venissero ridistribuiti negli altri paesi Ue. A due anni di distanza, appena 28 mila sono stati effettivamente ridistribuiti.
Le autorità europee stanno dunque contemplando un meccanismo di distribuzione più flessibile. Questo dovrebbe avvenire con l’invio di funzionari di sicurezza alle frontiere e un sostegno finanziario aggiuntivo per i Paesi interessati da un maggior numero di richieste d’asilo. Ogni Stato dovrebbe decidere da sé il numero dei rifugiati da poter accogliere. Gli slovacchi si stavano avvicinando a tali posizioni. Su suggerimento di Malta ogni Stato riceverebbe 60 mila euro per ogni migrante accettato, ma la stessa quantità di denaro dovrebbe essere richiesta come penale in caso di mancato rispetto degli accordi presi. Fino a questa decisione la Commissione Europea pagava solo 6 mila euro per ogni migrante. Il limite massimo proposto per ogni Paese è di 200 mila immigrati, pertanto il calcolo finale ammonterebbe a 12 miliardi di euro l'anno. Se questo meccanismo fosse già stato adottato, Budapest dovrebbe pagare 48 milioni di euro di penali, in base al numero di migranti che gli spetterebbe accogliere e che rifiuta. Tuttavia il paese è uno dei principali beneficiari dei finanziamenti Ue: riceve ogni anno cinque miliardi più di quanto versi al fondo comune di Bruxelles. Il ministro dell'Interno tedesco, il cristiano democratico Thomas de Maizìere, ha sollecitato la Presidenza estone a prendere decisioni in merito, ma sarebbe ancora meglio, scrive la "Frankfurter Allgemeine Zeitung", se l’iniziativa giungesse da parte delle nazioni leader in Europa, ossia Germania, Francia, Italia e Spagna. La prossima primavera ci saranno nuove elezioni in Ungheria e Orban potrebbe essere costretto a più miti consigli. A maggio 2019 verrà eletto il nuovo Parlamento europeo e il lavoro legislativo dovrà ricominciare. Quindi il problema di come far rispettare le decisioni della Corte rimane e si fa sempre più urgente.
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