Migrazioni, quel labile patto per fermare i migranti




Categoria: ESTERI
06/09/2017 alle ore 10:12



La crisi migratoria nel Mediterraneo centrale ha subito una svolta drastica e del tutto inattesa: i flussi tra Libia e Italia si sono quasi interrotti. Secondo le Nazioni Unite, nell’ultima settimana di agosto gli sbarchi in Italia sono stati poco più di 200, contro le centinaia, a volte migliaia di sbarchi giornalieri ai primi di luglio. la crisi aveva assunto dimensioni tali che Il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maizìere, aveva definito sarcasticamente le operazioni di soccorso nel Mediterraneo un “ponte verso l’Europa”. L’agenzia Onu per i rifugiati Unhcr ha riferito anche di un altro minimo storico: dall’inizio di agosto non si sono registrate morti nel Mediterraneo. La Libia è un crocevia di interessi, e il premier riconosciuto dalla comunità internazionale ne controlla solo una porzione attorno a Tripoli. Il resto è in balia di milizie armate che guadagnano anche sul traffico di esseri umani. Come è possibile, dunque - si chiede la "Frankfurter Allgemeine Zeitung" - che i flussi migratori si siano interrotti in maniera così improvvisa ed efficace? Le ragioni, scrive il quotidiano tedesco, vanno cercate a Ovest di Tripoli, e in particolare su un tratto circoscritto della costa libica tra il confine tunisino e la capitale libica, da dove si imbarca il 90 per cento dei migranti diretti verso l'Italia. I due hub principali del traffico di migranti sono le città di Sabratha e Zawiya, entrambe sotto il controllo di milizie armate che si finanziano anche tramite il contrabbando di petrolio. Il maltese Marc Micallef parla della situazione come del "Bengodi degli scafisti", guidati due signori della guerra: Mohamed Koshlaf e Ahmed Dabbashi. Proprio costoro, da agevolatori e principali beneficiari del traffico di esseri umani, si sarebbero improvvisamente tramutati in efficaci baluardi contro le partenze. Non lo avrebbero fatto a titolo gratuito, ovviamente, ma "dietro pagamento da parte dell'Europa". Dabbashi ha collaborato per un certo tempo per il gigante energetico italiano Eni, tramite una joint venture con la Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc) per una grande raffineria a Mellitah, ad Ovest di Sabratha. Da lì il gas naturale viaggia con una condotta sottomarina in Sicilia. Il gasdotto è stato inaugurato nel 2004. Dopo il rapimento di quattro lavoratori italiani nel 2015 l’Eni ha assoldato Dabbashi per garantire la sicurezza dei suoi 500 operatori in loco. Gli Italiani, scrive il quotidiano, avrebbero stretto un accordo con le autorità locali: 5 milioni di dollari per bloccare almeno per un mese gli immigrati. Gli italiani hanno inviato undici tonnellate di medicinali e bende all’ospedale accademico a metà agosto. Stesso scenario nella vicina città di Zawiya, sede di una grande raffineria e dove Mohamed Koshlaf gestisce un centro di detenzione per migranti dove questi ultimi sarebbero vittime di maltrattamenti e violenze. I due fratelli Koshlaf (Walid è il secondo), hanno rapporti con il comandante della Guardia Costiera di Zawiya, noto come "al Bija", che si è formato presso l’Accademia navale di Tripoli. Dopo la morte di Gheddafi nel 2011 si è unito ai ribelli, è stato ferito nove volte e ha perso due dita. Quando la Germania ha fornito assistenza medica agli insorti, l'ufficiale è volato a Berlino per ricevere cure mediche nel 2012, trattenendosi per tre anni. Tornato in patria nel 2015, con un manipolo di soli 37 uomini ha creato la guardia costiera di Tripoli. Solo negli ultimi mesi ha ricevuto dall’Italia quattro navi riparate dei tempi di Gheddafi. “Se dobbiamo fare il lavoro sporco per l’Europa, l’Europa deve pagare per questo”, ha dichiarato. E ha preteso diversi benefit per sé e per i suoi uomini. Al momento, al Bija è il signore indiscusso delle acque territoriali libiche occidentali. Quel che è certo, avverte però il quotidiano tedesco, è che qualsiasi collaborazione con persone come Amu e al Bija è imprevedibile.

 © Agenzia Nova - Riproduzione riservata