Tra i tanti punti potenziali di dissidio nella nuova maggioranza composta da M5S e Partito Democratico, ce n’è uno sul quale i due, almeno sulla carta, dovrebbero andare d’accordo: è il momento di avviare una lotta più efficace all’evasione fiscale in Italia. Sono saltati teoricamente gli ostacoli politici perché le forze più sensibili alle esigenze di chi sceglie l’evasione o vi si rifugia non sembrano molto rappresentate nel governo.
Adesso le tecnologie, le competenze dell’Agenzia delle Entrate e la dimensione stessa del fenomeno rendono questa svolta fattibile e urgente. L'auspicio da dieci anni che nel prossimo futuro le risorse per fare investimenti o tagliare le tasse sul lavoro dipendente vengano proprio dall’emersione delle entrate fiscali che mancano all’appello, potrebbe diventare finalmente una realtà. Quanto l’intera galassia dell’evasione sia avvolta da equivoci e ambiguità lo mostra in primo luogo il fatto che non esista una stima ufficiale universalmente accettata sulla sua entità.
Un gruppo di esperti creato dal ministero dell’Economia, guidato da Enrico Giovannini, ha stimato l’ammontare di imposte e tributi indebitamente mancanti a 109 miliardi l’anno. Altri esperti dissentono: Carlo Cottarelli dell’Osservatorio sui conti pubblici e Vincenzo Visco, l’ex ministro delle Finanze e del Tesoro, notano che il gruppo di Giovannini non riesce a prendere in conto tutta l’imposizione e sospettano che una cifra più vicina al vero sia attorno ai 130 miliardi. Resta poi da stimare l’elusione delle multinazionali, formalmente legale ma di dubbia legittimità, consentita dallo spostamento dei profitti in Paesi a bassissima tassazione ed alle attività in Rete di grandi gruppi del web prive di organizzazioni stabili in Italia o quasi.
Visco, oggi presidente del centro studi Nens, valuta che l’elusione dei grandi gruppi esteri in Italia potrebbe generare ammanchi di entrate tra i 5 e i 20 miliardi l’anno, a seconda delle stime internazionali che si adottano. La Fondazione ResPublica di Milano ricorda che, all’8% del Prodotto interno lordo, l’evasione in Italia ha l’incidenza più alta della zona euro dopo la Grecia. Paradossalmente si tratta di una risorsa, come sanno bene tutti i governi che si sono succeduti nel tempo. Il primo governo di Romano Prodi fra il 1996 e il 1998 puntò a ridurla per raccogliere parte delle risorse necessarie ad entrare nell’euro. Vincenzo Visco, che allora fu ministro delle Finanze, sostiene invece che gli ultimi governi, inclusi quelli di centrosinistra, hanno puntato soprattutto ai condoni per far tornare i conti nell’immediato: l’enormità delle clausole di aumento dell’Iva dal 2020 si spiegano proprio con il tentativo di riempire i buchi dopo il venir meno dei tamponi temporanei delle sanatorie.
Ora si tratta di capire cosa sia realisticamente possibile fare su questo fronte. In un suo recente studio, Visco presenta una serie di proposte concrete basate su quanto permettono oggi le nuove tecnologie. L’ex ministro propone di rendere obbligatoria per tutti i contribuenti Iva la trasmissione digitale delle informazioni fiscali, sia alle autorità tributarie che al cliente; solo a questa condizione dovrebbe diventare possibile per un’impresa o un lavoratore autonomo detrarre l’Iva fatturata, una volta verificato che l’imposta sia stata effettivamente versata. In secondo luogo Visco suggerisce di sostituire i registratori di cassa “con mini-terminali collegati con l’Agenzia delle Entrate” e di istituire un sistema analogo per i lavoratori autonomi e per chi non è tenuto a emettere fattura ma per esempio emette scontrini o ricevute. Infine occorrerebbe anche la trasmissione digitale in tempo reale dei dati anche per le vendite da distributori automatici o in Rete.
A quel punto l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate scatterebbe solo quando i dati dichiarati dal venditore non dovessero corrispondere a quelli già in possesso dell’amministrazione. In parte la transizione verso questi sistemi sta già avvenendo, anche se molta strada resta da fare. Di certo la tecnologia può sancire il definitivo tramonto degli studi di settore, stime generiche e spesso arbitrarie dei fatturati e dei margini delle imprese. Scrive Visco nel suo paper per il Nens: «Molto del lavoro dell’amministrazione si trasferirebbe a monte, al momento dell’elaborazione dei dati; sarebbero appositi algoritmi a individuare buona parte dell’evasione, delle frodi e dei comportamenti scorretti».
Ammesso ma non concesso in Italia che si trovi una possibile convivenza con i vincoli del Garante della Privacy. Un recente studio di ResPublica con la consulenza di Carlo Altomonte, Tommaso Di Tanno, Giampaolo Galli e Andrea Silvestri (autore di Il fisco che vorrei, FrancoAngeli editore), aggiunge altre proposte. Fra tutte spicca quella di coinvolgere nei controlli anti-evasione sulle piccole imprese anche i comuni italiani, al fianco dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. L’incentivo per gli enti locali verrebbe da una compartecipazione al 50% del maggior gettito emerso, contribuendo così al finanziamento dei servizi locali. Il senso politico è che da anni non si vedeva un simile allineamento di stelle a favore di una svolta sul fronte dell’evasione: ci sono le condizioni politiche, ci sono le tecnologie. Difficile dire se potranno emergere davvero 50 miliardi di euro di nuove entrate statali, come stima Visco. Ma se qualcosa può succedere su questo fronte, è adesso o mai più.
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