Il governo ci chiede 10 miliardi: ecco chi pagherà


La manovra parte con l'handicap per una crescita 2020 rivista al ribasso allo 0,3-0,4%. È rischio per i cittadini: le tasse non scendono


di Leonardo De Santis
Categoria: ABRUZZO
20/09/2019 alle ore 14:20



C’è un numero che i tecnici del Tesoro hanno messo ben in evidenza nelle tabelle che sono state collocate ieri sul tavolo del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri per una delle innumerevoli riunioni che si stanno tenendo a via XX Settembre in vista del 27 settembre. Data clou per il nuovo governo perché in quella data andrà presentata la Nota di aggiornamento al Def, la cornice numerica della manovra. Quel numero è la stima del Pil tendenziale per il 2020: la forbice è stata collocata tra lo 0,3 e lo 0,4 per cento. 

Un taglio (la stima precedente era 0,6%) che l’esecutivo giallorosso è pronto suo malgrado ad accettare per dare vita a un’operazione di realismo dopo i fuochi di artificio sui conti pubblici del governo gialloverde. Ma questo bagno di realismo comporta sacrifici: la crescita ridimensionata complica la partita con Bruxelles sulla flessibilità, rende più difficile rispettare gli impegni su deficit e debito, aumenta gli sforzi necessari per far quadrare i numeri della legge di bilancio.

La stagione del Pil pompato all’inverosimile da Matteo Salvini e da Luigi Di Maio, poi costantemente ridimensionato, è dunque archiviata. D’altronde questo governo nasce con un’impronta fortemente europeista e per un anno intero da Bruxelles sono arrivate critiche pesanti sul fatto che la crescita italiana era stata gonfiata.

Si cambia impostazione e si parte da una stima molto prudente: pesano i fattori internazionali, ma pesa anche un’economia che non riesce a risollevarsi. Partire da un Pil collocato tra lo 0,3% e lo 0,4%, però, fa saltare tutti i calcoli che erano stati fatti fino ad ora. Innanzitutto a Pil minore corrisponde deficit maggiore: l’asticella del rapporto deficit-Pil quindi deve essere alzata in su rispetto a quell′1,6% ipotizzato inizialmente. Partendo da un deficit maggiore, lo spazio della flessibilità che può essere concessa dall’Europa si restringe. Se si vuole arrivare a strappare un deficit che potrebbe essere collocato intorno al 2,1-2,2% è evidente che partire da un 1,7% piuttosto che da un 1,8% è più svantaggioso rispetto che partire dall′1,6 per cento. La strada è più corta e questo significa meno soldi. 

A ogni decimale infatti corrispondono circa 1,8 miliardi. Meno decimali si mettono in fila, meno risorse si portano a casa. Un Pil collocato a queste percentuali incide anche sul debito, rendendo più impegnativo la sua riduzione e questo è un altro punto vulnerabile nella partita che il governo italiano sta giocando con la Commissione europea per far quadrare la manovra. La nuova Europa, guidata dalla presidente designata Ursula von der Leyen, ha posto proprio quella del debito come la sfida imprescindibile per l’Italia.

In una sorta di effetto a catena, una crescita inferiore alle stime precedenti impatta anche sulla manovra, che altro non è che l’esplicitazione di cosa si può fare in base ai paletti che vengono fissati con la Nota di aggiornamento al Def. Il cantiere del Tesoro è di conseguenza in fermento: al momento la manovra dovrebbe aggirarsi intorno ai 32 miliardi. 23,1 miliardi servono per evitare che dal prossimo primo gennaio aumenti l’Iva, 4 miliardi sono necessari per le spese indifferibili e 5 miliardi sono stati inseriti nella lista per tagliare il cuneo fiscale, con l’obiettivo di rendere più pesanti le buste paga dei lavoratori.

Questi 32 miliardi però vanno trovati e la caccia al tesoro è tutt’altro che conclusa. Illusioni sulla spending review è inutile farsene: è andata male negli ultimi dieci anni ed anche questo governo si è reso conto che miracoli, così come sulle privatizzazioni, non se ne possono fare. Insieme a un taglio delle agevolazioni fiscali, le cosiddette tax expenditures, si riuscirà a tirare fuori circa 5 miliardi. Lo spread, sensibilmente calato nelle ultime settimane, porterà 4 miliardi.

Sommando questi 9 miliardi ai 10-12 che si spera di ottenere da Bruxelles come flessibilità, il totale ammonta a circa 19-21 miliardi. Ci saranno poi i risparmi che arriveranno da minori spese per quota 100 e reddito di cittadinanza, ma da questo calcolo vanno tolti un paio di miliardi proprio a causa della crescita ridimensionata: quest’ultima infatti intacca i risparmi del calo dello spread. All’appello infine mancano circa 9-10 miliardi. Su questo buco si stanno concentrando i lavori dei tecnici. Tra le opzioni c’è anche la possibilità che il taglio del cuneo parti con qualche mese di ritardo in modo da ridurre la spesa necessaria. Si fanno calcoli sugli incassi dalla fatturazione elettronica, decisiva per mettere su il pegno da 7 miliardi che l’Italia dovette dare a Bruxelles a luglio per evitare la procedura d’infrazione. Il lavoro si preannuncia in sostanza lungo e complesso.

twitter@ImpaginatoTw