C’è una flat tax già in bilico: l’imposta secca al 20% per le partite Iva con ricavi fino a 100mila euro deve essere ancora autorizzata da Bruxelles. E questo potrebbe non essere un dettaglio da poco visto che il nuovo regime agevolato per professionisti e imprese dovrebbe debuttare tra poco più di tre mesi e soprattutto perché, come annunciato dal nuovo ministro all’Economia Roberto Gualtieri in una recente intervista, è ormai dato per acquisito l’addio definitivo ad ogni progetto di flat tax.
Il riferimento del ministro era certamente a quella flat tax di matrice leghista che avrebbe dovuto garantire già dal prossimo anno un prelievo del 15% sui redditi di lavoratori dipendenti e pensionati del ceto medio. Per ridurre la pressione fiscale il ministro ha preso tempo e ha inserito l’intervento in un piano di interventi almeno triennale, ma al di fuori della logica della “tassa piatta”.
Un annuncio che però dovrà essere accompagnato dai fatti considerato che il percorso disegnato dalla Lega prevedeva che tutti i contribuenti arrivassero progressivamente a pagare il 15% di tasse. Annunciare di voler interrompere questo percorso vuole dire anche doversi confrontare con il divario che si è venuto a creare tra i circa 2 milioni di partite Iva che con 65mila euro di fatturato applicano un’imposta sostitutiva “piatta” del 15% o del 5% per chi avvia una nuova attività (con un'’impennata nei primi sei mesi del 2019 in cui quasi una partita Iva su due ha scelto il regime agevolato) e lavoratori dipendenti e pensionati che con redditi di importo molto inferiore hanno un prelievo che oggi e per almeno un altro anno ancora partirà dal 23 per cento.
Se il compito del Governo sarà anche quello di ridare equità a un sistema di tassazione dei redditi sempre più caratterizzato da imposte sostitutive e regimi speciali, il rischio di un colpo di spugna sulla fase 2 della flat tax per le partite Iva prevista dalla manovra gialloverde dello scorso anno con debutto dal 1° gennaio potrebbe diventare realtà e non solo un timore per chi è pronto a cogliere i vantaggi della tassazione fissa al 20% per la parte di ricavi o compensi tra 65mila e 100mila euro.
Sotto la lente dei tecnici e del governo alle prese con una manovra da oltre 35 miliardi passerà dunque anche il nuovo regime: un regime agevolato che se cancellato, magari sotto la voce “rimodulazione selettiva” delle tax expenditures o di una più incisiva lotta all’evasione, potrebbe rimettere in gioco nell’arco del prossimo triennio complessivamente oltre 2,1 miliardi.
Scorrendo la relazione tecnica della legge di bilancio dello scorso anno infatti emerge che l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 20% di Irpef e dell’Irap sul reddito analitico per le partite Iva con ricavi o compensi compresi tra 65.001 e 100mila euro, prevede una perdita di gettito nel 2020 di 109 milioni che diventano 1,131 miliardi nel 2021 e altri 857 milioni dal 2022. Un piccolo tesoretto che il nuovo governo potrebbe riutilizzare tra le misure che ritiene più strategiche come il green new deal o gli asili nido, o come chiedono le imprese per sostenere la crescita con la reintroduzione della Ace.
Bisognerà quindi attendere i prossimi giorni con la manovra di bilancio e il decreto fiscale collegato per una conferma da via XX Settembre che la flat tax del 20% diventerà pienamente operativa dal prossimo 1 gennaio, Bruxelles permettendo. Quest’ultimo passaggio è d’obbligo e motivato dal fatto che la flat tax 2020 necessita del via libera della commissione Ue, così come per la prosecuzione dell’attuale regime al 15%, su cui c’è soltanto un disco verde provvisorio fino al 31 dicembre 2019. In entrambi i casi l’intervento di Bruxelles è obbligatorio in quanto serve la deroga rispetto alla direttiva comunitaria sull’Iva. Intanto professionisti e imprese restano alla finestra per programmare il loro futuro fiscale nel 2020.
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