Superata o quasi la surreale crisi di governo nel bel mezzo di una frenata dell'economia, nessuno si preoccupa di giovani e disoccupati. I numeri parlano chiaro ormai da tempo e la risposta delle classi dirigenti, quella politica per prima, sono del tutto inadeguate: 10 milioni di italiani non hanno lavoro o non hanno un lavoro sufficiente ed almeno 5 milioni di posti di lavoro potrebbero essere a rischio per l'impatto delle nuove tecnologie.
Si è tragicamente perso quasi 2 milioni di posti di lavoro rispetto a 10 anni fa tra gli italiani sotto i 35 anni. E poi il 35% di disoccupati giovanili e 25% di Neet (giovani che non studiano né lavorano) sono numeri terribili che ci vanno a collocare tra i peggiori Paesi in assoluto.
Non a caso siamo tra gli ultimi in Europa come investimenti in istruzione. Il 29,1% in Calabria, dato più basso a livello europeo, il 30,1% in Sicilia, il 35,9% in Basilicata: si tratta della percentuale di laureati che, entro tre anni dal conseguimento del titolo di studio, ha trovato un’occupazione. Il dato fa riferimento al 2018 ed arriva da Eurostat, ponendo l’Italia come fanalino di coda nella classifica europea dell’occupazione dei laureati. La situazione complessiva è decisamente migliore nel nord Europa.
Addirittura ci sono due regioni del Regno Unito, Tees Valley and Durham e East Yorkshire and Northern Lincolnshire, nelle quali il 100% dei laureati è riuscito a trovare lavoro entro tre anni dalla discussione della tesi. E del resto per chi esce dalle università europee l’ingresso nel mercato del lavoro non appare così complesso: in media l’83,3% trova un lavoro entro tre anni dalla conclusione del percorso di studio. Fa pesantemente eccezione l’Europa del sud, Italia compresa.
La questione non riguarda solo il Mezzogiorno: la gravità assoluta risiede nel fatto che nel nostro Paese non c’è nessuna regione in cui la percentuale di laureati occupati entro tre anni dalla fine del percorso di studi sia superiore alla media europea. Tanti giovani e tante famiglie hanno letteralmente paura del futuro ed esprimono la loro insoddisfazione per non dire la loro paura e la loro rabbia: la rivolta contro le élites e le varie forme di populismo ed estremismo che si hanno davanti agli occhi in tutto il mondo sviluppato (e ancora libero) sono almeno in parte conseguenza di questi numeri.
La storia dice che situazioni di questo genere possono mettere a rischio addirittura la democrazia. Come se non bastasse, è vero che scienza e tecnologia possono creare nuove opportunità, ma rendono parallelamente obsoleti moltissimi lavori. Molti nuovi mestieri si stanno creando, ma molti posti di lavoro attuali (ci sono indagini che parlano addirittura del 50%) sono a rischio: non solo quelli manuali, non solo quelli amministrativi, ma anche quelli più professionali. Una sfida da affrontare e cogliere ridisegnando il sistema educativo. Infine c'è da tener conto dell'invecchiamento della popolazione.
Che significa pensioni più lontane e più basse, quindi ricambio più lento e, senza adeguata crescita, meno spazio all'introduzione dei giovani. Va profondamente ridisegnato l'intero sistema di welfare prima che diventi un incubo invecchiare nei nostri Paesi. Una urgenza su tutte: l'assicurazione universale per coprire il rischio della non autosufficienza. Si potrebbe realizzare in tempi brevi e senza aumentare il costo del lavoro.
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